Moda

Mar 30 DA VENEZIANA UN RICORDO PER CARLA NANI MOCENIGO

Collaboratore

Ciao Carla,

è un saluto come tante volte  ma questa volta la differenza è che é l’ultimo.  La notizia della tua morte mi è arrivata  ahimè non inattesa: il tuo stato di  salute già così provato non  avrebbe potuto reggere all’attacco del virus. Sei andata via nel  modo  più lontano dal tuo stile, da quel tuo modo ineguagliabile di  essere sempre “elegante”:  ti hanno portata via  –  spero senza  che tu lo abbia potuto capire   –  facendoti diventare come in una pagina da Manzoni, un “corpo”,   e ora che il fatto non ti importa più mi piace pensare come lo avresti commentato  questo fatto terribile,  questo insulto al tuo bisogno  di  eleganza, di civiltà ad ogni costo. E non è nemmeno giusto  parlare di civiltà in questi frangenti in cui ogni minuto per una persona malata è prezioso e bisogna solo fare presto:  prenderla, caricarla, tentare il possibile e…chiuderle gli occhi.  Lo avresti sottolineato come una necessità da accettare,  con quella tua pacatezza che diventava una lezione  di guerra. Perché in quello sguardo,  ingenuo solo per i distratti – reso più forte dall’azzurro spietato degli occhi grandi che ti faceva apparire  unica, diversa –  non c’era,  come molti credevano,  fragilità ma   quella forza che ti veniva da una formazione veneziana che non prescinde mai dall’ironia, più ancora da un’autoironia che spiazza sempre  l’interlocutore.  E da veneziana di razza qual  eri  hai sempre usato il tuo “modo” di porgerti  come arma vincente.

 

Il tuo grazie-prego-scusi  irrinunciabile  –  e per tanti fastidioso –  si imponeva pesante e significativo sui caratteri “diretti”, “rapidi”, “veloci” , quelli che corrono per arrestarsi  poi ad ogni ostacolo inevitabile e arrivare esattamente quando arrivi  anche tu, camminando normalmente, senza il fiato corto , con  i capelli a posto trattenuti dal codino settecentesco che ritroviamo in tanti quadri  di nobili  veneziani.  Nobiltà nel tuo caso era un discorso quasi banale, discendente com’eri da un nome che ha accompagnato la storia della Repubblica di Venezia  alla quale i Mocenigo hanno dato , mi pare, otto Dogi – per non dire di Procuratori, Ambasciatori, membri di quel Consiglio dei Dieci che seppe far durare un governo aristocratico per più di mille anni.  Un peso ereditario che non poteva lasciare indifferenti e che certamente ti ha gratificato ma ti  è anche pesato in un mondo così’ lontano da quel potere che  – qualsiasi cosa importante tu facessi –  la faceva sempre risultare infima,  non consona, non all’altezza.  Essere una “Mocenigo” a Venezia , lasciando al tempo passato la risposta giocosa, umanizzata,  che poteva dare tua madre, l’Amalia che  giocava a essere una qualunque , che salutava tutti i negozianti al passaggio, regalava parole  amichevoli,  si permetteva  di lasciare ai posteri  come “opera” compiuta  il nome di “Carpaccio” per un piatto di carne cruda dell’Harry’s Bar.

 

Tu, no.  Tu eri diversa e nella farraginosa sequenza di atti più o meno drammatici  o “eroici”  della tua vita spesso difficile , hai reagito con la determinazione che non ti è mai venuta meno. E hai cambiato “patria” scegliendo Milano , la città che ti avrebbe dato ciò che meritavi  premiandoti   in una professione che sembrava nata  per esaltare  quei difetti  del prossimo che in realtà ti disturbavano.  Ma con la fermezza che ti sorreggeva sapevi che il tuo nome importante ti avrebbe dato una mano presso i “clienti” da corteggiare per questa o quella Maison  famosa , per  convincerli della bontà di un prodotto o di un evento. Soprattutto i giornalisti  da indottrinare per ogni occasione che sapevi rendere  degna di considerazione.  Del tuo successo, del  nome  che per tanti anni a Milano si imponeva anche con una semplice telefonata di “saluto” (“qui  Mocenigo. Sono la Carla…”)  hanno giustamente parlato in questa circostanza dolorosa  amici e addetti del settore moda. Io , più che una giornalista , per te ero  una veneziana,  “una di casa”  alla quale ti rivolgevi  confidando solo nell’ironia che ci rendeva affini:  “..ti segnalo il tal dei tali, bravissimo,  davvero bravissimo…”  e quel davvero significava:  “capiscimi, devo dirti che è bravo…è un cliente…ma è bravo davvero.”    Nel mestiere di public relations sei entrata quando in questo settore stavano imponendosi  pezzi da novanta come  Rudy Crespi,  Franco Savorelli, Beppe Modenese, Angelo Sacchetti, Maccentelli, dai quali  imparavi ciò che serviva, senza mai perdere il tuo àplomb  al quale regalavi quello sguardo azzurro,  falsamente sperduto ma sempre indagatore e vincente.

 

 

Ti lascio Carla ricordando quella nostra pausa in San Babila, al St.Andrews, io in attesa di un piatto di lasagne e tu di un’insalata senza condimento. Cominciava  allora quella tua battaglia  che mi vedeva sul fronte opposto, la tua  lotta contro il curvy che  detestavi  e il mio dirti , inutile e fastidioso, che mangiare è bello. Il tuo rifiuto   del cibo – divenuto una malattia – aveva radici  lontane, era un messaggio da considerare, era la tua guerra che non si è arrestata mai, combattuta con la tua arma di sempre che  era la gentilezza,  usata come una clava:  “mi hanno licenziata  –  mi raccontavi quel giorno a San Babila con un mezzo sorriso – perché … hanno detto  che ero troppo educata ….!”.

Ciao Carla.  Adesso riposa in pace.

                                                                                                                                            Luciana

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