Moda

Giu 05 PROTAGONISMO E PROTAGONISTI

di Cristiana Schieppati

Nel mondo della comunicazione contemporanea, dominato dai social media e dai contenuti on demand, due parole si rincorrono e si confondono: protagonismo e protagonisti. Sembrano sinonimi, ma raccontano due storie molto diverse. Una è fatta di necessità di esserci, l’altra di merito. Una si nutre di luce riflessa, l’altra la genera.

Il protagonismo è il desiderio compulsivo di apparire, spesso scollegato da un reale contenuto o da una competenza. Si alimenta della visibilità fine a sé stessa, della presenza nei contesti giusti più che della sostanza. È il selfie nel backstage, l’ospitata in un podcast, la story dalla sfilata, la foto con una celebrity. Non c’è nulla di sbagliato, ma è fondamentale distinguerlo da un vero protagonismo attivo.
Nel mondo della moda, l’esposizione mediatica è ovunque: digital creator che presidiano le prime file, personaggi che non mancano mai agli eventi, voci che appaiono ovunque ma dicono poco. È una forma di esistenza visiva e digitale che ha valore solo se supportata da un’identità chiara. Altrimenti si dissolve, alla prossima stagione.


Essere protagonisti, invece, significa avere un ruolo chiave. Che si sia designer, comunicatori, imprenditori o creativi, il protagonista è colui che detta le regole, che porta un’idea, che lascia un’impronta. Non si limita a esserci: costruisce.
Nel fashion system i leader sono spesso silenziosi: lavorano dietro le quinte, guidano aziende, immaginano mondi, anticipano i cambiamenti. Sono gli autori dei contenuti che altri raccontano e spesso non hanno bisogno di essere ovunque. Sono riconosciuti, non esposti.

Il podcast è al momento uno degli strumenti più efficaci per costruire visibilità. Ma anche qui si ripropone la stessa dinamica: c’è chi ne fa uno strumento di protagonismo e chi invece lo usa per dare spazio ai protagonisti.
Esplosi come format narrativo e conversazionale, i podcast permettono di approfondire, di ascoltare voci autentiche, di restituire complessità. Un ottimo podcast non si limita a ospitare nomi noti: scava, racconta, mette in relazione. La visibilità che ne deriva può essere strategica, ma deve essere coerente con l’identità. Il migliore in assoluto per me è One more time di Luca Casadei, così vero, così sincero che anche Beatrice Valli intervistata ha tirato fuori tutta la sua vita privata, quella che nei social non mostra mai. Valentina Ferragni con Storie Oltre le Stories è un po’ fragile in questo ruolo e poi anche i personaggi sono un po’ già visti come Diletta Leotta che già si racconta nel suo Mamma Dilettante, Giulia Salemi in Non lo faccio per moda è solare e brillante nel suo ruolo di conduttrice, ma passare da fare tutorial di make up a interviste “serie” è un’altra cosa. Non basta dire sono stato protagonista di un podcast se poi quello che hai detto non ha lasciato nessun segno. Ok, essere visibili oggi è fondamentale, ma la vera differenza la fa la qualità della visibilità. È utile chiedersi: sto cercando di essere protagonista o sto semplicemente inseguendo il protagonismo? Nel primo caso si costruisce una reputazione solida, nel secondo si rischia di vivere solo di immagini e percezioni. Nel mondo della moda – e non solo – il tempo e il pubblico premiano chi ha qualcosa da dire, non solo da mostrare. E i podcast, come altri strumenti, sono potenti alleati solo se usati con visione.

In televisione tutti chiedono di essere intervistati a Belve, il programma condotto dalla bravissima Francesca Fagnani, che ha chiuso la sua dodicesima edizione questa settimana, ma molti personaggi, spesso alla seconda apparizione come Bianca Balti, non sorprendono più se ci dicono che si usano le droghe ogni tanto perchè fanno male, o offrono consigli retorici o risposte accomodanti che oramai contrastano con un format così graffiante. Alla fine posso dire? Il più vero mi è sembrato Mario Balottelli.

Basta il riconoscimento degli altri a darci conferma che il nostro impegno, la nostra identità o il nostro talento hanno un valore per il mondo esterno? Chi lavora nella moda ha bisogno di essere guardata, ascoltata, citata per far parte della cerchia che conta? Essere visibili apre delle porte, genera attenzione e l’attenzione genera possibilità, ma non siamo forse fissati su come questo sia diventato un modo per misurare il proprio impatto? A volte fare un passo indietro serve per guardare meglio le cose, serve a riposizionarsi in modo strategico, apre spazio a qualcosa di nuovo.

Matteo Marzotto è stato protagonista di un incontro a OSA Community , un gruppo di imprenditori che ha l’obiettivo della crescita condivisa, in assenza di rivalità.  Ha raccontato di essersi reinventato a 50 anni “Lavorare in famiglia è difficile , può rimanere l’affetto e la stima ma possono non combaciare le idee e mi sono trovato nel 2020 in qualche modo con la possibilità di acquisire un artigiano e ho pensato di ripartire dalla filiera”. Anche Marco Bizzarri ha ricominciato la sua attività nel mondo della moda da Elisabetta Franchi, acquisendo una partecipazione dell’azienda attraverso la sua holding personale, Nessifashion. Holding che il top manager ha finanziato con gli stipendi che prendeva al gruppo Kering , svelati dalla trasmissione Report su Rai 3 del 25 maggio, nella puntata intitolata “Fuori Moda”, si parla di 8 milioni di euro di stipendio annuo e di super bonus di 40 milioni di euro.

Ai vertici di questi colossi, dai CEO ai direttori creativi, top model e ambassador, ci sono compensi milionari e le grandi maison del lusso continuano a produrre margini altissimi e generare profitti globali anche in tempi difficili. La crisi economica non colpisce in modo diretto chi si muove ai piani alti del sistema, ma per marchi medi, piccoli brand, negozi multibrand e i lavoratori della filiera la crisi ha un impatto diretto e spesso molto duro: aumento dei costi, calo dei consumi, instabilità occupazionale. “In un momento congiunturale pieno di incertezze come quello che stiamo vivendo” ha dichiarato Niccolò Ricci CEO di Stefano Ricci SPA in occasione del lunch per la presentazione del progetto Explorer con Steve McCurry manteniamo una fiducia che si basa su un andamento generale in sostanziale allineamento. Chiuso il 2024 con 233 milioni di Euro ecco che il primo quadrimestre del 2025 segna un incremento del 3% nonostante una flessione del fatturato totale“. E la camicia realizzata con il lino più fine del mondo coltivato sulle sponde del Nilo diventa così il portabandiera di una famiglia che ha mandato i figli nel mondo senza paura e che è arrivata anche in India per raccontare la nuova collezione.

Un marchio come La Perla invece ( Paola Ruffo ti ricordi che belle svendite !) , brand iconico della lingerie italiana, (prima che arrivassero Intimissimi, Calzedonia e Victoria’s Secret), fondato a Bologna nel 1954 dalla sarta Ada Masotti, dopo decenni di gestione familiare e numerosi tentativi di rilancio passando da Silvio Scaglia ad altri fondi internazionali, non è riuscito ad essere salvato per anni fino ad oggi. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha detto ” La Perla è salva” annunciando che sarà rilanciata da un investitore che garantirà marchio, sito produttivo e tutti gli occupati dello stabilimento di via Mattei a Bologna.

Nessuno si salva da solo, a qualcuno va meglio come ad Hailey Bieber che ha venduto il marchio Rhode a E.L.F per un miliardo di dollari, ma ad altri va peggio, come il settore della gioielleria , come mi hanno raccontato alcuni manifatturieri presenti alla fiera di Oroarezzo, per la prima volta hanno visto diminuire visibilmente l’affluenza di operatori spaventati da dazi e costo della materia prima.

Che scenario offrire quindi ai giovani che vogliono lavorare nel mondo della moda? Non è un terreno facile, ma c’è ancora spazio per chi ha talento, flessibilità e qualcosa da dire. Ne parlavano ai ragazzi, ma non solo, Alessandro Calascibetta e Michele Ciavarella che hanno portato “on stage” il primo Fashion Talk nato dal desiderio di raccontarsi, ma anche di fare un punto della situazione a cuore aperto. Si è parlato di editoria con Danda Santini e Emanuele Farneti a confronto con i due femminili che vengono allegati ai quotidiani leader del nostro paese, Il Corriere della Sera e la Repubblica. ” Per iO Donna sono sempre partita dalla lettrice, confezionando un femminile dove trovare ispirazione” racconta Danda, mentre Emanuele con il suo D ha voluto pensare a una formula internazionale con un focus su cultura e firme autorevoli che ripercorre un po’ la strada di Le Monde o Il New York Times, dove il fattore del genere non è più rilevante. A raccontare il suo percorso c’è anche Francesca Ragazzi, Head of Content di Vogue Italia, elegantissima, che parlando di immagine, ha detto “Una bella foto oggi non basta più, occorre creare un dibattito che coinvolga tutte le generazioni” e quando ha detto che la sua capa ha più di 50 anni Emanuele ha ironizzato dicendo ” Ah si? E chi è?” e tutta la platea a ridere perchè Anna Wintour non ha bisogno di essere nominata per essere riconosciuta. Anche in termini di styling, dove si dovrebbe menzionare esclusivamente la creatività è emerso che per realizzare un servizio oggi occorre budget ” Per i servizi di moda la mia ispirazione sono i preventivi ” cit. Nik Piras fashion director di Esquire Italia. Sissy Vian ha sottolineato come l’editoria in Italia sia vivace più che in altri paesi e Giulia Crivelli ha provocato facendo notare come la sfilata non porti più le tendenze, tanto che anche Edoardo Caniglia Fashion Director di Icon, il più giovane forse tra quelli salito sul palco, ha rimarcato che le sfilate a lui non servono per trovare ispirazione, e il povero Carlo Capasa per un pelo non cadeva dallo sgabello.

La soluzione più interessante per ritrovare mercati e forza è stata quella rappresentata da Daniele Manca, vice direttore del Corriere della Sera, collega di mamma che, non a caso, ha fatto un paragone interessante tra auto e moda, entrambe infatti non si vendono. “Non possiamo dare la colpa ai prezzi o alla qualità, nel mondo sta cambiando il contesto e se in quel contesto c’è chiusura e chi ci indica le tendenze non è eccellente, non possiamo uscirne” ha detto il “professore”, come l’ha giustamente chiamato il presidente della Camera della Moda . Noi italiani non siamo bravi, come gli americani ad esempio, ad essere prodotti di marketing, noi dobbiamo puntare alla creatività ed il marketing deve restare al suo servizio. Il marketing fa rumore ma il pubblico si disincanta. Per essere presenti sul mercato occorre essere rilevanti, il marketing più evoluto non premia solo chi si mette al centro della scena , ma chi offre una prospettiva, chi sa raccontare un perchè, chi non esibisce se stesso ma fa da ponte verso un valore, chi ti fa sognare. Apparire quindi è uno strumento di marketing su se stessi ma rischia di diventare vanità se privo di contenuto. Autenticità e creatività sono oggi i differenziali competitivi. Non si è protagonisti perchè si è visti, ma perchè si è riconosciuti. E questo, nel marketing come nella vita, fa tutta la differenza.

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