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Dic 21 ARABIA FELIX

di Carlo Sidoli

Arabia Felix: così gli antichi romani chiamarono le regioni meridionali della Penisola Arabica che non riuscirono ad assoggettare, fermati dal deserto, ma con cui comunicavano per godere delle ricercate delizie dei prodotti orientali. Il prefetto d’Egitto, Elio Gallo, fu inviato dall’imperatore Augusto a conquistare l’Arabia, ma dopo una travagliata campagna militare, nel 24 a.C. tolse l’assedio alla città di Mariaba (nell’attuale Yemen) perché i legionari rimasero senza acqua e si ritirò.  Oro, incenso e mirra – i doni dei Re Magi alla Sacra Famiglia – ricercatissimi dai patrizi, non cessarono comunque di arrivare con le carovane sul mercato di Roma dove avevano quasi il medesimo prezzo al chilo (alla Libra, a quei tempi). Prima ancora, la Bibbia racconta della mitica regina di Saba venuta dal sud a Gerusalemme per far visita al re Salomone. Dato che “felix” ha anche il significato di “ricco”, si può dire che le cose non vadano diversamente ai nostri giorni. Anche chi non vi si è recato di persona riceve, attraverso i “media”, immagini di un’opulenza esagerata: città degli emirati e dei sultanati che rivaleggiano con le metropoli più moderne, svettanti coi grattacieli più alti del mondo (ormai si va per i 1.000 metri), con le piste da sci e da pattinaggio sul ghiaccio, con le piscine dove l’acqua viene raffreddata anziché riscaldata, dove si corrono i Gran Premi di Formula 1 in notturna, dove si svolgono tornei di tennis frequentati dai più grandi campioni, dove le auto più potenti e moderne sfrecciano sulle superstrade urbane (per inciso la benzina costa circa 0,15 Euro al litro). Alcuni ecologisti si preoccupano che l’espandersi dell’abitato e la realizzazione (che è in corso) di isole artificiali nelle acque del Golfo Persico turbino l’equilibrio biologico dell’area, ma non credo che sia un gran male. In fondo, chi perde terreno è il deserto, che non è certo un ambiente raccomandabile e che, nel resto del mondo, fa esattamente il contrario: sottrae spazio alle specie viventi. Dietro a tutto ciò c’è la ricchezza che viene dal petrolio, utilizzato per produrre l’energia necessaria per far funzionare le città e le infrastrutture e soprattutto gli impianti per la dissalazione dell’acqua marina, che è il principio primo della sopravvivenza nei luoghi dove non piove quasi mai. L’esportazione del petrolio, sempre sovrabbondante, comporta un getto continuo di entrate finanziarie che coprono tutte le spese e soddisfano tutte le ambizioni degli governi di quei Paesi. Col petrolio si può generare tutta l’energia elettrica usata per la fornitura alle abitazioni e ai luoghi di lavoro e di svago (si pensi anche solo agli impianti di condizionamento dell’aria, sempre in funzione). Tuttavia, persino in queste aree, è in atto la transizione verso la produzione di energia “pulita” o “verde” che dir si voglia, perché essa riduce l’inquinamento atmosferico e, guarda caso, è ampiamente disponibile, “quasi” gratis. Il Sudest della Penisola arabica è dunque “felix” anche da questo punto di vista, perché sole e vento non mancano mai e lo spazio desertico a disposizione, ove realizzare gli impianti, è enorme. Vaste aree coperte da pannelli solari e grandi turbine anemometriche stanno già rifornendo le reti elettriche a livello di valori sensibili. Con tanta energia “rinnovabile”, da impiegare come meglio si crede, alcune attività ritenute dispendiose nel resto del mondo diventano attuabili; tra cui, come abbiamo visto, la dissalazione dell’acqua marina e lo smaltimento degli scarti (la salamoia) accumulati nell’operazione. Ma questi Paesi che si affacciano sulla costa occidentale del golfo Persico si spingono ancora oltre, perché stanno per diventare tra i più grandi produttori (e quindi esportatori) di idrogeno “verde”, ricavato per elettrolisi, sempre dall’acqua. Alcuni dati dimensionali: l’impianto solare nel deserto del Dubai, in costruzione, già fornisce energia elettrica pari a 20 volte quella del più grande impianto europeo (in Germania, proprietà dell’Audi) e quando sarà terminato avrà una potenza di 5000 megawatt; tre volte di più dell’attuale maggior impianto mondiale, che è in Cina.

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