Moda

Ago 31 CHIAVI DI LETTURA

di Anna Franco

Il mondo è globalizzato, la stampa di moda anche. Malgrado, tra una sfilata e una presentazione, si faccia sempre più presente quanto sia importante, ricco e affascinante quel patrimonio decisamente “local” di saperi e conoscenze che caratterizzano un territorio, un popolo e la sua produzione manifatturiera e le cartelle stampa forniscano elenchi fin troppo esaustivi di collaborazioni artigianali basate sul territorio. 

Sul numero di settembre di GQ c’è un servizio con intervista firmata da Mark Anthony Green all’artista Abel Makkonen Tesfay, meglio conosciuto come The Weeknd. È la prima global star della testata, perché le sue risposte e il suo volto appariranno su ben 15 edizioni della rivista, compresa quella italiana. Non è episodio a sé, ma la diretta conseguenza della nuova mission di Condé Nast: eliminare le specifiche dei singoli paesi a livello di contenuti delle sue pubblicazioni e adottare un formato taglia unica. Che, si sa, sta a tutti, ma non dona a nessuno.

Una strategia simile è stata adottata anche da un altro pezzo da novanta dell’editoria di moda, Hearst. Dalle redazioni italiane sono rimasti a casa tanti professionisti e ben 5 direttori. Al loro posto una sola persona, Massimo Russo. Il che fa già presumere che, inevitabilmente, ci sarà una maggiore uniformità tra le varie testate, che si rivolgevano, almeno programmaticamente, a lettori differenti per età, stile di vita, gusti e sensibilità. Il tutto è stato motivato con la fatidica frase “Una nuova organizzazione che risponde a una maggiore competitività in un mercato in costante evoluzione” e con la promessa di un generico rafforzamento dell’online. Per placare gli animi e per mostrare che in un mondo che è stato stravolto c’è bisogno di un cambiamento? Forse. Anche se, probabilmente, più che di mutazioni ci sarebbe bisogno di evoluzioni. Intanto è chiaro che se si usa sempre lo stesso pezzo (e l’intervista a The Weeknd è solo il primo, palese esempio) si avranno un solo stylist, un solo fotografo, un solo truccatore, un solo giornalista, e così via, che lavoreranno a quella uscita. 

Un bel taglio nelle spese per la casa editrice in un periodo di crisi che sembra essere la tendenza costante di questi anni. Ma nelle edicole (del mondo) che prodotto uscirà? Un bel compitino patinato e che farà la fortuna dei traduttori (quelli, si, forse, si arricchiranno), ma che svaluterà il lavoro che c’è dietro, creerà appiattimento, non premierà le eccellenze più locali e tantomeno quei designer nuovi o che comunque cercano di emergere e resistere a dispetto dei grandi gruppi del lusso. Non ultimo, farà sentire sempre di più quella specie rara che è, ormai, l’acquirente di giornali e riviste un semplice numero senza propri gusti, personalità e specifiche.

Perché è vero che le tendenze travalicano i confini, che con poche mosse ormai si vola dall’altra parte del mondo (Covid permettendo) e che l’altrove e l’altro non sono più una lingua straniera, ma è sicuro anche che non tutto quello che può interessare un lettore americano o francese sia gradito a quello italiano o viceversa.

E le chiavi di lettura, comunque, vanno modulate su tanti aspetti che sono quel bagaglio culturale e di vissuto che un popolo di porta dietro anche in capo al mondo.

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