Quella che pareva una minaccia, anzi, tanto da non essere presa troppo sul serio, è stata messa invece in atto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump: i dazi doganali del 25% sulle importazioni provenienti dal Messico, dal Canada e dalla Cina, sono entrati in vigore martedì scorso. Molti industriali americani stanno cercando di opporsi , ma Trump è andato avanti sulla sua strada, neppure intimorito di provocare una grande guerra commerciale, una vera doccia fredda per il settore automobilistico. Tutte le maggiori case costruttrici hanno installato stabilimenti proprio in Messico tanto che il 13% del Pil messicano dipende dall’automobile e oltre il 70% delle vetture e dei componenti vengono inviati direttamente negli Usa. Queste tasse riguardano quasi il 45% di tutte le importazioni americane, con l’introduzione dei dazi sui prodotti europei, la percentuale raggiungerà il 60%, significa, nello stesso tempo, secondo i maggiori analisti, un rallentamento importante della crescita economica negli Stati Uniti. Pur non parlando ancora di recessione della prima economia mondiale, la probabilità è aumentata, fortunatamente la ricchezza delle famiglie e i risparmi accumulati proteggono ancora il paese. Il primo a pagarne duramente le spese è stata Stellantis che, nello stato dell’America del Sud, produce diversi marchi, tra cui Jeep, ha chiesto che qualsiasi decisione presa che coinvolge direttamente l’industria, deve includere un periodo di tempo adeguato per dare modo di adattarsi. Stessa preoccupazione espressa da Ford e da General Motors e da tutte le società della componentistica che ribadiscono di rispettare gli accordi di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada ( il primo accordo risale al 1965) che prevedono di essere esenti dai dazi doganali, per cui non accettano di vedere minata la loro competitività. Queste imposte rischiano di scavare un’ enorme voragine nel tessuto industriale americano “ come non si è mai visto sinora”, ha dichiarato Jim Farley, il ceo di Ford. Minacciano di rallentare gli investimenti nel territorio Usa, amputeranno i profitti e si teme, in particolare, di vedere i prezzi delle auto salire in modo spropositato, da 4mila sino a 12mila euro, diminuendo così la domanda, l’attività delle fabbriche, riducendo i posti di lavoro. Uno shock che può essere confrontato alla stessa portata di quanto avvenne durante l’epidemia del Covid. Sia in Nord America che nell’Unione Europea che ha definito la decisione americana “ ingiustificata”, le strutture si basano su organizzazioni regionali e l’idea che possano ritornare ad essere nazionali – come vuole Trump – va contro ad un periodo di storia formato da anni, in tutto il mondo. Il Canada è stato il primo a reagire – ha parlato di guerra commerciale – annunciando che verranno applicati dazi doganali del 25% su circa 155 miliardi di dollari di merci statunitensi importate da Ottawa.