Moda

Feb 27 DIO SALVI RE GIORGIO

di Cristiana Schieppati

“Abbiamo fatto una bella pulizia!”, chiosa Carlo Capasa presidente della Camera Nazionale della Moda alla fine di questa Fashion Week. Pulizia di forma e sostanza. Meno circo fuori dalle sfilate, meno clamore sul nulla, meno celebrities che celebrità non sono. A tenere banco Kim Kardashian per Dolce & Gabbana che saluta come una regina dalla balconata della boutique in via Montenapoleone, stessa via dove il giovane attore cinese Xiao Zhan (31 milioni di follower) su Weibo, primo social d’Oriente ha bloccato letteralmente il traffico davanti al negozio di Tod’s dove Andrea e Diego Della Valle gli stavano facendo vedere la collezione nella speranza che finalmente si raggiunga il loro grande sogno, quello di conquistare il mercato cinese, da sempre il loro obiettivo. Più defilata, ma in linea con il mood di Ferragamo, ecco l’attrice Uma Thurman che in prima fila alla sfilata si identifica con lo stile di Maximilian Davis, in una delle sfilate più belle di questa edizione.

La pulizia di sostanza è stata nell’abbandono di quel filone genderless che gli addetti ai lavori hanno immediatamente bandito non appena Alessandro Michele ha lasciato Gucci. Incredibile come questo settore ci possa dare enormi certezze per 6 mesi e poi stravolgere tutto annullando il passato per poi magari ripescarlo tra qualche anno. Ora infatti si punta all’eleganza, all’ordine con pochi dettagli che rivelano un lusso estremo. Mi spiego. Se è il nero che andrà e la gonna sarà lunga potete aggiungere un piumino di Herno che è diventato couture oppure un trench oro come quello di Beatrice.b. Quel che conta è che Prada ha rivelato come un semplice pullover grigio o blu possa essere abbinato alla più sofisticata delle gonne. Anche Sergio Marchionne le sarebbe stato riconoscente dopo che per anni gli avevano detto che quel maglioncino non era chic come la giacca e cravatta. Tempi che cambiano.

Quel che conta è che la donna possa esprimersi in tutta la sua natura, libera di girare in coulotte (vedi Chiara Ferragni che passa con disinvoltura da Schiaparelli e Benetton sentendosi libera ) o in tailleur rosso (altro colore must have) di Ermanno Scervino, ma senza per questo sentirsi fuori posto. E le donne sono in vantaggio 1 a 0 in questa edizione, avrei voluto farvi vedere la faccia del collega quando gli è stato detto che ad un TG preferivano intervistare la direttora di Vogue Italia perchè donna.

In attesa che a settembre si stravolga nuovamente tutto, gli stilisti hanno pensato di fare un po’ d’ordine dopo anni in cui tutto valeva tutto. Ho sorriso quando ieri sera, durante l’anteprima del docu-film MILANO: The inside Story of Italian Fashion” scritto e prodotto dal giornalista Alan Friedman per la regia di Joe Maggio (non chiedetemi dove lo faranno vedere perchè ancora non si sa) Giorgio Armani ha detto ” Oggi i giovani creativi fanno abiti dettati dal marketing e sembrano dire: ho fatto questo vediamo se te lo metti! Io ho sempre fatto abiti per la gente”. E non ha mica torto.

A proposito della proiezione di ieri sera, ho trovato un po’ fuori tempo questo film che si ferma in maniera inquietante a raccontare il made in Italy prima della pandemia. Vedere Giusi Ferrè e Giovanni Gastel mancati recentemente raccontare la storia del nostro saper fare e dei nostri designer storici mi ha messo molta nostalgia, rafforzata da un racconto che ci riporta dagli anni ’50 ad oggi , con tanti cliché tipici di chi ci guarda da oltre oceano. A salvarci Giorgio Armani, al quale è effettivamente dedicato questo omaggio, a quanto da lui realizzato per Milano e per la moda, mi sono molto divertita quando sul finale Stefano Gabbana ha detto ” Io e Domenico ad un certo punto ci siamo guardati e abbiamo detto – Qui a Milano siamo rimasti noi e Giorgio Armani-“.

Se volete guardare un documentario carino dove ritrovare tanti insider tra cui una giovanissima Giulia Masla , vi consiglio Kingdom of Dreams – i nuovi sovrani della moda, su Sky che vi racconta l’ascesa di John Galliano, Alexander McQueen, Marc Jacobs e Tom Ford , del ruolo di Bernard Arnault e di come l’industria della moda si sia trasformata un una globalizzazione che asfissia gli stilisti in una gara di marketing.

Lunga vita a Giorgio Armani quindi, l’ultimo degli stilisti.

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