La moda non è solo un’industria, né soltanto spettacolo: è un linguaggio emotivo. In occasione del fashion month si compie una sorta di “educazione sentimentale alla moda”: un viaggio che passa dai debutti più attesi alle consacrazioni, dai premi che riconoscono il talento alle emozioni private dei creatori dietro le quinte.
Quando ho iniziato questo lavoro la moda non parlava, le persone che lavoravano all’interno dei brand non manifestavano le loro idee o la loro storia, quello che contava era l’immagine, la foto, la creatività, il messaggio dato attraverso un abito. Quando la Milano Fashion Week ha aperto le danze per la stagione primavera/estete 2026 ho avuto la netta sensazione che si trattasse di un “nuovo inizio”. Il cambiamento non è solo per le grandi firme, ma emerge nella voglia di aria fresca che tutti gli operatori hanno manifestato, ognuno nel suo ambito.
Il debutto di Dario Vitale, primo direttore creativo esterno alla famiglia Versace è stato accolto da una tensione fortissima. Quell’ansia prima del sipario, si guardava alle reazioni del pubblico, all’eco che le immagini avrebbero suscitato sui social, alla posta emotiva del successo o del dissenso.
L’adrenalina è come un battito che si sente nell’aria, nelle mani che tremano mentre si sistema l’ultimo dettaglio, nello sguardo che cerca conferma quando le luci si abbassano e la musica comincia. Questa sfilata ha diviso le reazioni. Mentre gli addetti ai lavori hanno analizzato con attenzione il ritorno dei codici della Medusa, leggendo nel debutto un esercizio di fedeltà nel DNA della maison, il pubblico si è un po’ sentito deluso da un esercizio di stile che ha disatteso l’impatto spettacolare che viene associato al brand. Santo Versace, che ho incontrato in questi giorni, mi ha detto che la sfilata non l’ha vista (nemmeno Donatella Versace era alla sfilata) ” Per me la moda si è fermata nel 1997“, mi ha detto.
Anche i commenti sulla nuova “famiglia” di Gucci firmata Demna hanno evidenziato un’eccessivo uso dei codici iconici del brand che però non hanno restituito profondità o innovazione. Ma come si può rinnovare senza tradire? Osare senza alienare? L’uso di archetipi ha suscitato curiosità e ironia e si avverte una tensione forte tra quella che è l’eredità del brand e la novità che ci si aspetta da un designer dello spessore di Demna. Non c’è dubbio che siamo all’inizio di un universo narrativo che susciterà ancora conversazioni vivaci, ma si sa che l’arte del rinnovamento non è una posa perfetta, ma un percorso lungo, come lo stesso Jonathan Anderson ha ammesso al suo debutto per Dior “Con Loewe ci sono voluti 11 anni per ridisegnare un’estetica“.
A Parigi il racconto emozionale è più viscerale, qui è in gioco uno spazio nella moda globale. Il debutto di Jonathan Anderson ha svelato la sua prima collezione Dior con una rivisitazione della Bar Jacket, una tensione drammatica che lo stesso designer ha ammesso, perchè qui si è trattato di un salto creativo e una nuova direzione del brand. E un video lo immortala con gli occhi lucidi mentre dal backstage osserva il debutto della sua visione.
Una lezione emerge con forza, tutti i nuovi debutti segnano momenti di transizione, di attese, di confronto con la grande eredità dei maestri. In questo passaggio il pubblico non è uno spettatore passivo: Instagram, TikTok, media modaioli, creator… tutti sono parte della scena stessa. Le immagini mostrano, ma anche riverberano emozioni. C’è chi condivide una foto, chi una stories, chi posta una reazione, l’importante è dire ci sono, ti sono vicino, sono qui con te. L’educazione sentimentale alla moda oggi è anche partecipativa: ciascuno può entrare nella narrazione, reagire, far propria una parte di quel pathos.
Se dovessi tirare una riga su cosa abbiamo imparato finora direi: 1) la moda si sta educando all’emotività come linguaggio primario, non solo come effetto visivo. 2) i debutti e passaggi creativi raccontano non solo nuovi segni stilistici, ma il modo in cui la moda vuole sentire il suo tempo. 3) nell’osmosi del backstage e passerella, tra pubblico e creativo, si costruisce qualcosa di più che una collezione, si costruisce una memoria emotiva.
Dietro ogni passerella, ogni evento, ogni debutto pubblicizzato ci sono notti insonni, confronto con sé stessi e con le aspettative. Anche i premi chiudono dei circoli emotivi. Perchè quando qualcuno viene chiamato su un palco, l’applauso diventa scansione del suo percorso, distanza tra il prima e il dopo.
Le lacrime discrete di chi riceve un premio, sono una memoria dei sacrifici, delle notti passate a creare, a convincere sé stessi che valesse la pena continuare. La moda sa essere dura, ma i momenti di celebrazione sono il contrappunto che ridà senso a ogni fatica. Ecco perchè l’edizione 2025 dei CHI E’ CHI FASHION COMMUNITY AWARDS è stata la celebrazione dei legami, ma anche delle emozioni. Quel pianto liberatorio di Maria Grazia Chiuri mentre riceveva il premio alla carriera dalla giuria era pieno di significati. Perfino lei non si aspettava di avere quella reazione, tanto che ha ammesso “Se avessi saputo che era così non sarei venuta”. Che soddisfazione vedere che esiste nella moda qualcosa di non costruito e non studiato a tavolino, che le persone si lasciano andare alle emozioni perchè sanno che quel riconoscimento è autentico. Ho lavorato tanto per raggiungere questo risultato che in questa edizione è andato veramente oltre le mie aspettative. Dovrò trovare uno sponsor che mi fornisca fazzoletti, perchè un po’ adesso mi sento la Silvia Toffanin della moda.
Permettetemi una piccola parentesi sui Chi è Chi Awards, perchè ogni vincitore mi ha commosso sotto tanti aspetti. Carolina e Camilla Cucinelli che si passavano il microfono con l’enfasi di due sorelle, emozionate nel vedere il padre e la madre ascoltarle dal parterre, un po’ come il giorno della laurea. Paolo Zegna, elegante e generoso nel farmi i complimenti, e poi ci siamo messi a parlare del cammino dell’Oasi Zegna che con il foliage è stupendo. Francesco Vezzoli, l’artista famoso nel mondo che è stato il più timido e delicato, la sua presenza è stata un pilastro di questa 25° edizione. Silvia Damiani che conosco da così tanti anni che è bastato uno sguardo per capirne l’emozione. Javier Goyeneche che ha letto il discorso in italiano con quell’accento spagnolo che lo ha reso appassionato e gentile, come le sue battaglie per la sostenibilità (Maria Elena Viola “feliciona” di averlo premiato!). Gaelle Drevet, il volto nuovo, che si è presentata a Milano per la prima volta, pronta ad aprire un negozio The Frankie Shop nel quadrilatero. Olga Campofreda, dolce e meravigliosa, cultura e buone maniere che in pochi sanno esprimere. Franco e Lucia Mantero che hanno espresso tutti gli attributi dei comaschi: forte dedizione al lavoro, senso di appartenenza al territorio e riservatezza. Anna Dello Russo che per una volta è rimasta sorpresa da qualcosa che forse non aveva mai visto, così felice di ritirare un premio tutto per lei che mi ha detto che è a mia disposizione … peccato che non possa nemmeno chiederle di prestarmi un vestito che con la taglia proprio non ci siamo! E ancora Laura Asnaghi (che aveva gli occhi lucidi) Eva Desiderio ( emozionata e sorridente), Bruna Rossi ( che aveva tutta la redazione ad applaudirla con un tifo da stadio) Ariela Goggi ( che non voleva venire ma che mi ha detto “grazie per avermi convinta”). Poi è arrivato il Premio Barbara Vitti, ritirato da Anoushka Borghesi, io ho precisato che era stata informata del premio a luglio, perchè non volevo che sembrasse assegnato dopo la morte del Signor Armani, e mi ha fatto veramente piacere sentirle dire “Avevo chiesto al Signor Armani se potevo venire a ritirare il premio e lui mi aveva detto di si ” , un gesto carico di significato, non solo un atto di rispetto ma un segnale raro di umiltà in un mondo dove spesso prevalgono ego ed individualismo. E’ come se avesse voluto riconoscere apertamente che la sua storia professionale è intrecciata con quella di Armani e che il merito di un riconoscimento personale non può prescindere dal maestro che l’ha formata. Un gesto che parla di gratitudine, appartenenza e misura: tre valori che andrebbero ricordati più spesso nel nostro settore.
L’educazione sentimentale alla moda dovrebbe insegnarci anche il rispetto delle regole di casa altrui. Ma si sa che la coerenza, nella moda come nella vita è un accessorio raro: c’è chi blinda i propri eventi e poi cerca passaggi laterali per entrare a quelli altrui e chi confonde il valore di essere invitato ad un evento con la posizione della propria sedia.
Io vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno mandato un messaggio per condividere le belle emozioni che hanno provato, per chi mi ha scritto “ho pianto anche io oggi...” Chi si commuove mostra la sua forza: la fragilità è il più grande coraggio, piangere ci ricorda che siamo vivi.
E tante, tantissime lacrime ho visto alla sfilata di Giorgio Armani per celebrare i 50 anni di carriera all’Accademia di Brera, l’ultima che lo stilista ha firmato. Non era una sfilata ma un atto sentimentale, un saluto carico di emozione, un racconto che ha intrecciato arte, cultura e vita personale. Portare la collezione in un luogo simbolo della formazione artistica milanese ha significato riconsegnare la moda al suo statuto più alto: linguaggio visivo, gesto creativo e patrimonio culturale. L’atmosfera era sospesa, quasi intima, noi umani e delle icone come Richard Gere, Cate Blanchett o Lauren Hutton accarezzati dalle stesse emozioni, uniti nel silenzio che diventa racconto. Ho notato che Beka Gvishiani mentre girava tra le sale allestite del museo indossava un cappellino nero, al posto del solito Blu Royal, non ho capito se è la versione lutto o black tie.
E’ stata una settimana emozionante sotto tanti aspetti, soprattutto perchè la moda ha continuato a sfilare anche quando il mondo brucia. Giorno dopo giorno le passerelle sono trascorse come se nulla fosse, mentre in sottofondo arrivavano immagini di conflitti e civili sotto le bombe. L’unico gesto l’ho sentito urlare dal Sindaco di Milano Beppe Sala dal palco della Scala in occasione dei CNMI Sustainable Fashion Awards “Free Gaza” , un atto simbolico fuori dallo show che però non ha fatto il rumore che avrebbe dovuto. “In un mondo diviso la moda crea ponti” ha detto Carlo Capasa, ma a me sembra che l’unica cosa che si sia detta è che si abbasseranno i prezzi di alcuni prodotti perchè “effettivamente erano troppo cari per la situazione economica attuale”.
Noi giornalisti eravamo un po’ in imbarazzo, ci si aspettava che almeno alcuni designer prendessero posizione, non servivano manifesti ma segni sottili, un silenzio iniziale o finale al posto della musica come atto di rispetto, una passerella spoglia, un abito nero a lutto… segni piccoli ma chiari. E invece la notizia che ha fatto il giro del mondo è stata che alla sfilata di Dolce & Gabbana si girava una scena del sequel del Diavolo Veste Prada. In prima fila Meryl Streep e Stanley Tucci hanno fatto un’apparizione a sorpresa al Metropol, seduti in prima fila accanto a Michele Morrone e Naomi Campbell che in quanto ad espressività lasciavano a desiderare. A quando pare essere una comparsa del film sta diventano l’ossessione di molti, ho saputo che un fotografo che conosco ha girato una scena durante la fashion week, ma se volete sapere qualcosa chiedete a lui.
La contraddizione è tutta qui: la moda non ha mai esitato a prendere posizione forte e chiara su battaglie come quelle LGBTQIA+ rendendo passerelle e campagne luoghi di rivendicazione mentre in questo caso si è preferito la via del gossip, della notizia leggera. Forse non serve chiedere alla moda di risolvere conflitti, ma almeno di riconoscerli, di ricordarci che non sfiliamo in una bolla. Perchè altrimenti rischiamo di dimenticare che fuori dalle passerelle la realtà veste solo il dolore. Per questo quel silenzio di fronte ad un conflitto che devasta civili e città è suonato assordante. Un nastro, un colore, un gesto sarebbe stato sufficiente a dire “abbiamo visto, non siamo indifferenti”.
La fashion week non è soltanto calendario, business, strategie. Anche le separazioni quando avvengono sotto i riflettori diventano spettacolo. La notizia di Marco Bizzarri che lascia (lavorativamente) Elisabetta Franchi è vissuta un po’ come quella di Nicole Kidman che si è separata dal marito Keith Urban, l’educazione sentimentale che ci arriva non è fatta di finali felici ma di modi di gestire la fragilità davanti agli altri. È il rituale emotivo che ci forma e ci accompagna, come una scuola invisibile: un’educazione sentimentale che continua a insegnarci non solo come vestirci, ma soprattutto come sentire.








