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Lug 04 FORMULA 1: IL COMMENTO

di Paolo Ciccarone

La Ferrari vince ma non convince. Questione di scelte e opportunità. Perché se ti stai giocando il mondiale con un pilota, dovresti fare in modo che quel pilota finisca davanti. Invece no. Ha vinto l’altro. Quello che dopo 150 GP corsi era ancora a secco di successi e che in un week end ha visto cambiare la sua carriera: pole al sabato e vittoria la domenica. Per Carlos Sainz il 3 luglio è il giorno della nascita a nuova vita agonistica, su questo nulla da dire. Ha vinto pur sbagliando la prima partenza, diventando cattivo come si deve nella seconda. Ha vinto pur dicendo apertamente che Verstappen ne aveva di più e, quindi, psicologicamente si era già prostrato all’olandese tanto da uscire di pista e perdere due posizioni a favore sia di Verstappen ma anche di Leclerc che con macchina danneggiata era più veloce di lui. Eppure ha vinto, perché le corse sono fatte di particolari, istanti e circostanze e per Sainz tutto ha girato come si deve. Con quella sosta ai box a 10 giri dalla fine con Safety Car in pista in cui tutti, tranne Leclerc, hanno cambiato le gomme. Risultato, Perez ed Hamilton davanti al monegasco e per poco pure Alonso con l’Alpine. Errore strategico clamoroso della Ferrari che si consola con la vittoria ma perde per strada la serenità di un team amalgamato, perché quel ditino in faccia a Leclerc, doveroso da chi regge le redini di una squadra e deve imporsi, non andava fatto in mondo visione, perché fa capire più di quello che dice quel dito agitato. Ovvero di malumori interni, di musi lunghi, di situazioni da chiarire e, soprattutto, di una squadra ancora lontana dalla perfezione necessaria per vincere un mondiale. Certo, le statistiche diranno che la Ferrari ha vinto a Silverstone, non capitava dal 2018 con Vettel (“A casa loro, abbiamo vinto a casa loro”) e poi sappiamo come è finita. Vincere a casa loro fa bene al morale, ma questa vittoria sembra avere aperto in due la squadra. Poi fa niente che Leclerc come prima cosa sia andato a congratularsi da Sainz, perché in fondo resistendo a Perez ed Hamilton per quei pochi giri gli ha permesso di prendere il margine necessario per vincere. Ma qui sembra il mondo al contrario. Era Sainz che doveva farlo per Leclerc, nel giorno in cui Verstappen con macchina rotta arrancava dietro, non il contrario. Ed era successo a Montecarlo, dove da primo Charles è finito quarto. Insomma, una squadra che ha saputo creare una macchina vincente ma non è quella macchina vincente che servirebbe per il titolo. Manca l’amalgama, quel sorriso di tutti quando esiste l’entusiasmo e non le fazioni, le beghe politiche e assenza dei vertici. Da qualche gara ai box è presente l’amministratore delegato Benedetto Vigna. Uno che di corse ne capisce poco o niente, così come di auto. Ma sta imparando e lo fa vedendo da vicino come funziona. Respirando la stessa aria dei meccanici e, nel caso, offrire quell’ombrello ai problemi che protegge la squadra. Un piccolo gesto che dice grandi cose su cosa succede dietro le quinte. Di solito uno va a toccare con mano e a vedere coi propri occhi quando non si fida di quello che gli dicono. E vuole avere il polso della situazione. Lo faceva Marchionne, lo fa, in piccolo, Benedetto Vigna. Anche perché le polemiche sui fondi flessibili (vietati), quello sulle benzine (regolamentate) e su quella sottile linea rossa che dalla zona grigia passa a quella nera, sono sulla bocca di troppa gente. E serve sgombrare il campo da equivoci. Ecco che la gestione in pista discutibile, pur con una vittoria, va inserita in un contesto più ampio. 

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