Ci sono persone che, quando se ne vanno, non lasciano solo un vuoto: lasciano un’orma, una traccia profonda, come quella di un gigante che ha camminato tra noi. La morte di Giorgio Armani segna la fine di un’epoca, ma soprattutto ci ricorda quanto alcuni individui riescano a trasformare la propria esistenza in un segno indelebile nella vita degli altri.
Armani non è stato soltanto uno stilista, un imprenditore, un visionario della moda. È stato un architetto di stile e di pensiero, un uomo che ha dato una forma nuova all’eleganza, rendendola universale, essenziale, eterna. Ha vestito generazioni di donne e uomini, ma soprattutto ha dato dignità e voce a un’idea di bellezza sobria e potente, che continua a parlare ancora oggi.
La sua scomparsa ci spinge a riflettere sul senso dell’eredità: cosa significa davvero “lasciare un segno”? Non è solo questione di fama o di successo. È capacità di incidere nelle vite altrui, di generare cambiamento, di imprimere una direzione. Armani ha fatto tutto questo, con il silenzio della sua riservatezza e la forza immensa della sua visione.
I giganti non appartengono al tempo in cui vivono: lo attraversano, lo piegano, lo ridisegnano. E quando se ne vanno, lasciano dietro di sé un paesaggio diverso, più ricco, più consapevole. Così, oggi, guardiamo al vuoto che lascia Armani non con la disperazione della perdita, ma con la gratitudine di chi ha avuto la fortuna di camminare nelle sue orme. Perché il segno dei giganti non svanisce: resta nella memoria, nella cultura, nello stile e diventa parte del nostro futuro.
Ed è con la memoria che siamo andati indietro nel tempo, tutti. Abbiamo ricordato gli incontri con lui, chiamato il Re perchè spesso per accedere al suo cospetto c’era una lunga attesa, perchè non si osava, nemmeno le giornaliste più sfacciate, replicare alle sue battute. Ti guardava con quegli occhi che ti leggevano dentro e non osavi contraddirlo. Aveva il suo carattere, diceva quello che voleva senza pensare alle conseguenze, era puntiglioso e maniaco del controllo, fino all’ultimo. Ma signori che classe, che energia, che potenza.
Quando entravi in uno dei suoi hotel o nelle boutique ritrovavi l’arredo che lo distingueva tra tutti, quel profumo d’incenso che caratterizzava ogni sua location ma soprattutto potevi incontrarlo perchè gli piaceva passare e controllare se era tutto come lui aveva disposto. Tutti noi abbiamo un aneddoto che lo ricorda mentre sistema personalmente le cose, io ho memoria di una cena di Natale dove prendeva e spostava sedie per sistemare meglio il sitting degli ospiti. Il Re e il suo impero, ora diviso tra gli eredi da lui con una Fondazione alla quale ha lasciato tutte le direttive.
Quello che ho ammirato nel Signor Armani è stata la sua libertà, che in un certo senso è stata anche la sua prigionia. Era un imprenditore indipendente, un creatore libero, che per primo ha capito il valore del brand. Armani è un segno universale, una bandiera italiana che sventola in ogni angolo del pianeta. “Ci vediamo da Armani?” in tante città è diventata un modo di dire, più che un semplice appuntamento in un luogo. Non significa trovarsi in una boutique, in un ristorante o uno spazio firmato da lui, ma vuol dire darsi appuntamento in un luogo simbolico, elegante e riconoscibile da tutti. E’ un ritrovo di stile e lui allo stile ci teneva tantissimo.
Durante le conferenze stampa raccontava della gente che vedeva per strada, di come le donne e gli uomini spesso erano sciatti e trascurati, di come invece a Parigi le donne mostravano le gambe, oppure di certa moda che faceva sembrare le persone in maschera.
Ho letto i tanti ricordi e le tantissime condivisioni di foto, citazioni, giacche ritrovate negli armadi. Tutto vero, tutte sensazioni che condivido, specie che se ti vesti Armani ti senti sicura, per tantissime edizioni degli Awards mi ero comprata una giacca da lui, che fosse Emporio Armani o la prima linea.
Tra i tanti ricordi non ho visto nessuno parlare del ruolo che ebbe Barbara Vitti la sua prima pr alla quale è stato indissolubilmente legato, anche se non si parlavano da tempo. Per anni è stata la voce autorevole della sua comunicazione, l’idea del murales in via Broletto fu proprio sua. Ho rintracciato la figlia di Barbara, Emma Averna, che ha appena donato il suo archivio al centro interdipartimentale MIC “Moda Immagine e Consumi” dell’Università degli Studi di Milano dove c’è tantissimo materiale che riguarda appunto la collaborazione con lo stilista. “Degli anni con Armani di mia mamma ricordo principalmente il carissimo amico Sergio Galeotti a cui lui deve moltissimo se non tutto . Per mia madre fu il fratello che non aveva più . Un uomo buono generoso spiritoso e geniale . Ricordo quando venendo a casa nostra mi portò uno dei primi jeans prototipo e mi chiese “Emmina ti ho portato questi , tu li metteresti ? “ e io non persi naturalmente l’occasione . E da lì parti tutto ! Oggi voglio ricordare soprattutto lui mancato troppo giovane alla sua famiglia, a noi e al mondo della moda .”
Sergio Galeotti, il grande amore incontrato a La Capannina di Forte dei Marmi, l’ultimo comunicato di Armani ci annunciava appunto l’acquisizione da parte del Gruppo in memoria di quell’amore. Giorgio custodiva un mondo di affetti cari, discreti e profondi, un nucleo silenzioso dal quale ha sempre tratto forza.
Ieri per un momento la storia è sembrata arrestarsi, ho pianto, per la grandezza di un gigante e per l’anima di un uomo.
Grazie Cristiana !