Sport

Dic 21 IL MODELLO UDINESE: UNO STADIO GIOIELLO COME ESEMPIO PER TUTTI

di Francesco Bonfanti

Una società modello, un esempio seguito da molti e apprezzato da tutti. I conti sono sempre in ordine, nessuna follia di mercato ma l’occhio lungo di chi sa scovare giocatori sulla rampa di lancio da valorizzare e con cui fare ottimi affari. L’Udinese sa come si fa, avendo alle spalle una proprietà, i Pozzo, preparati e attenti sia sotto il profilo imprenditoriale che sportivo. A Udine si fa calcio ma anche business, e quel meraviglioso gioiello rappresentato dallo stadio, la Dacia Arena, è lì a dimostrarlo. Proprio nel momento in cui i vertici dello sport, Giovanni Malagò, Gabriele Gravina e Paolo Dal Pino (rispettivamente presidenti di Coni, Figc e Lega Serie A) scrivono al governo per cercare di semplificare e velocizzare le lunghissime procedure burocratiche necessarie per la costruzione di nuovi impianti. Perché lo stadio è un valore aggiunto, genera ricavi e dà lavoro. 

Chi è Chi ne ha parlato con Alberto Rigotto, project manager dell’Udinese, l’uomo che ha seguito fin dagli albori la nascita e l’evoluzione del progetto stadio. 

Come è nata l’idea dell’Udinese di avere uno stadio di proprietà?

“L’idea nasce intorno al 2005-2006, inizialmente come progetto per ristrutturare lo stadio e far sì che diventasse moderno per rappresentare il famoso 12esimo uomo in campo. Bisognava rimettere mano al vecchio stadio Friuli, da lì emerge la necessità di averlo come proprietà perché l’apparato pubblico non aveva i soldi e bisognava investire in proprio, e per farlo serviva avere una proprietà privata. Lo abbiamo ristrutturato con i nostri soldi, e da lì è iniziata la procedura per averlo per 99 anni con lo schema del diritto di superficie”.

Quali vantaggi porta avere uno stadio di proprietà?

“La cosa importante, più che avere uno stadio di proprietà, è avere uno stadio moderno, per garantirsi introiti superiori e un significativo aumento dei ricavi. Si hanno hospitality molto più belle, più persone allo stadio, quindi avere un valore aggiunto complessivo molto maggiore”.

Oltre allo stadio c’è anche l’aspetto commerciale legato all’impianto

“Noi siamo i primi in Italia che stanno cercando di completare l’iter per avere nuovi spazi commerciali legati allo stadio, siamo ormai a un passo dalla conferenza dei servizi decisoria che dovrebbe darci l’ok per sviluppare nella pancia dello stadio 20 mila metri quadrati di commerciale, per fare una piscina con palestra, una clinica riabilitativa, un museo, una birreria e spazi per lo svago”.

Quali sono state le difficoltà maggiori che avete dovuto affrontare?

“Se devo vedere l’iter mi viene da piangere: le ruspe hanno lavorato per 12 mesi, quindi ci sono voluti 10 anni di burocrazia e 12 mesi di pala e piccone, il che è scandaloso. In più è dal 2015 che siamo in ballo per avere l’autorizzazione per le attività extra calcistiche. Per fare un percorso così serve tanta, tanta pazienza”.

Quali sono i modelli di riferimento per l’impiantistica del calcio?

“I modelli sono l’Inghilterra ma anche la Germania, dove negli ultimi 20 anni hanno ristrutturato ormai 40 stadi su 40 tra Bundesliga e Serie B tedesca. Lo hanno fatto con un percorso programmatorio ‘alla tedesca’, dove c’è stato un bel connubio tra pubblico e privato. Non a caso la Bundesliga ha una percentuale di occupazione degli stadi superiore al 90% a partita, la più alta nel mondo. Ma anche noi a Udine, con uno stadio da 25100 posti, nel periodo pre-Covid, tra la stagione 2018-19 e l’inizio di quella 2019-20 avevamo una media di 20 mila spettatori, un dato decisamente significativo”.

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