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Nov 02 INTERVISTA A FEDERICO FERRI SKY SPORT: OGGI NON SI PUO’ FARE TUTTO QUELLO CHE SI VUOLE, MA QUELLO CHE E’ POSSIBILE.

di Francesco Bonfanti

Per guidare una corazzata come Sky Sport bisogna avere una serie di qualità non indifferenti. Non solo la conoscenza e la totale padronanza dei temi di cui si parla, ma anche visione, capacità di programmare e pensare ad ampio raggio. Un po’ come fare l’allenatore di una squadra di calcio. Perché, come dicono i giocatori diventati poi mister, “quando giocavamo dovevamo pensare solo a noi stessi, adesso dobbiamo pensare per 30 persone”. Federico Ferri è stato sul campo, letteralmente, come inviato, ma da qualche anno è alla guida di Sky Sport, allenatore di un gruppo vincente che rappresenta quanto di meglio il panorama televisivo possa offrire. E specialmente in questo periodo, le difficoltà non sono mancate, un esame difficile che ha costretto tutti a uno sforzo supplementare.

Come è cambiata l’organizzazione del vostro lavoro in tempo di Covid?

“Bisogna distinguere due fasi: quella del lockdown della scorsa primavera, senza eventi. In quel caso era cambiato tutto: pochissime persone in redazione, ricorso estremo allo smart working, spazio alla creatività per inventarci un palinsesto rivoluzionato, completamente senza partite, gran premi, tornei. Oggi ci troviamo in una situazione diversa, e forse anche più difficile, ovvero gestire tutti gli eventi in onda con le limitazioni e soprattutto le necessarie precauzioni imposte dal Coronavirus. La pianificazione deve essere molto attenta, perché non si può fare tutto quello che si vuole, ma quello che è possibile per conciliare la sicurezza delle nostre persone con l’esigenza di continuare a dare il migliore servizio ai nostri abbonati. Un risultato che si può ottenere solo con la grande disponibilità e il rigoroso senso di responsabilità”.

Quale è stato il settore che ha necessitato dei cambiamenti maggiori?

“Non ne esiste uno in particolare, direi che ogni settore è stato impattato, sia per la quotidianità della nostra all news sportiva, Sky Sport 24, sia la copertura degli eventi. Ci sono però funzioni che non possono essere svolto in modo diverso, o a distanza, in televisione e allora ci siamo attrezzati facendo il massimo per rendere sicure, ad esempio, le regie, che sono il cuore di ogni produzione. Mascherine, plexiglass, distanziamento, e soprattutto grande disponibilità e professionalità di tutto il personale, al quale dobbiamo dire grazie”. 

Utilizzate lo strumento dello smart working?

“Abbiamo svolto e stiamo svolgendo da remoto tutto quello che si può fare, e anche ciò che non pensavamo fosse possibile prima del lockdown. Ci sono attività che procedono in forma ibrida, sia a casa sia in presenza, e altre che invece sono state completamente remotate, penso ad esempio ai colleghi che si occupano del nostro sito internet, che ormai da mesi lavorano da casa, peraltro con ottimi risultati”.

Qual è la difficoltà maggiore nel dover fare le telecronache a distanza e non sul posto?

“Anche in questo caso abbiamo mantenuto un buon bilanciamento tra le attività sul posto e quelle che invece svolgiamo dalla nostra sede. In questa fase, infatti, non vanno solo gestiti i rischi di eventuali trasferte, ma anche quelli di un sovraffollamento della nostra sede di lavoro, che va evitato. Non sono un telecronista e dunque non so rispondere sulle sensazioni che si provano nel fare una partita dalla tribuna o di fronte a un monitor, credo che comunque quello che influenza maggiormente in questo momento è la presenza o meno del pubblico allo stadio, elemento che incide in una telecronaca dovunque venga realizzata”.

Dal punto di vista personale, tu hai fatto la cosiddetta “trafila”, da redattore a inviato fino alla carica di direttore. Quanto sono stati importanti i vari passaggi?

“Non ho cominciato la mia carriera giornalistica a Sky ma in una piccola tv locale piemontese, e soprattutto per sette anni nella carta stampata, prima al Giornale, poi a Leggo, infine a Tuttosport, esperienze che mi hanno formato tantissimo. Sono arrivato a Sky nel 2005, dopo un mese volevo scappare, non mi piaceva nulla del lavoro in tv. Mi richiamò un giornale, avevo praticamente dato le dimissioni, ma il mio direttore Massimo Corcione praticamente sbarrò la porta, e non è un discorso figurato. Non so come sarebbe andata se fossi tornato a scrivere, ma so come è andata qui a Sky, ovvero un percorso bellissimo, che mi ha portato a fare il reporter e a seguire gli eventi che ho sempre sognato raccontare sul campo, per poi arrivare al ruolo di oggi. E spero non sia finita qui, ovviamente”.

Che cosa ti manca del lavoro “sul campo”?

“Adoravo fare il cronista, e non pensavo potesse esserci nulla di diverso per me, figuriamoci di meglio. Oggi però non tornerei indietro, e non mi manca nulla, credo ci siano delle fasi nella vita professionale di ciascuno di noi, e la mia storia mi ha insegnato a cogliere il meglio da tutte le opportunità che ti vengono date, per le quali non smetterò mai di essere grato ai miei responsabili e all’Azienda per la quale lavoro”.

C’è un personaggio del mondo dello sport cui sei particolarmente legato?

“Sì, ma non è uno che ho avuto il privilegio di raccontare da giornalista, né che ho mai conosciuto. Si tratta di Alberto Tomba, in assoluto lo sportivo che ho amato, e per il quale ho tifato, di più”.

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