Conosciuto soprattutto per la celeberrima fotografia V-J Day in Times Square, in cui un marinaio bacia un’infermiera in mezzo a una folla festante a New York al termine della Seconda Guerra Mondiale, Alfred Eisenstaedt è il protagonista dal 13 giugno al 21 settembre di una grande mostra negli spazi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino.
Un’esposizione inedita – a trent’anni dalla morte del fotografo e a venticinque dall’ultima mostra in Italia – capace di riportarne alla luce il talento poliedrico e in continua evoluzione, ripercorrendo la sua carriera comefotografo per la rivista “Life” e la sua capacità unica di raccontare il mondo con sguardo ironico e poetico.
A ottant’anni dalla realizzazione del celebre scatto a Times Square, l’esposizione – curata da Monica Poggi – ripercorre tutto l’arco della sua produzione, presentando una selezione di 170 immagini, molte delle quali mai esposte, a partire dalle prime fotografie realizzate in Germania negli anni Trenta. Lavori che lo portarono a consolidarsi come fotoreporter e a ricevere le prime commissioni in Europa, seguite da quelle ricevute negli Stati Uniti del boom economico e nel Giappone post-nucleare. Un percorso di successo, che si concluderà negli anni Ottanta con altri scatti sui personaggi dello spettacolo e della politica.
Il percorso espositivo viene tracciato proprio partendo dalla geografia dell’esistenza di Eisenstaedt, evidenziando non solo i cambiamenti avvenuti nei luoghi da lui attraversati, ma anche l’evoluzione del linguaggio di cui si è servito per raccontarli.
Nato nel 1898 a Dirschau, nella Prussia Occidentale (oggi Polonia), Eisenstaedt ha un primo approccio casuale con la fotografia durante l’adolescenza, quando uno zio gli regala una Eastman Kodak Nr. 3 che lo accompagnerà durante tutti gli anni di studio. Abbandonato il mezzo fotografico allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, lo riprende al ritorno dal fronte, e quello che inizialmente sembra un passatempo diventa presto, pur senza troppa consapevolezza, una carriera.
Tra gli Anni Venti e Trenta il fotografo racconta in modo divertito e ironico il mondo dell’aristocrazia, la cui stravaganza lo incuriosisce; sono gli anni degli scatti alle famiglie in vacanza a Saint Moritz, ma anche dell’immagine di una tennista sul campo, prima fotografia che vende al settimanale Der Weltspiegel, segnando l’inizio della sua carriera. A partire da questo momento, riceve incarichi e committenze dalle principali riviste tedesche del periodo, che lo faranno viaggiare in tutta Europa come fotoreporter.
Tra i diversi eventi politici che documenta si ricorda in particolare l’ascesa del nazifascismo – è suo un potente ritratto di Joseph Goebbels del 1933 che guarda in macchina con un’espressione truce e inquietante – e il primo storico incontro fra Mussolini e Hitler a Venezia nel 1934.
In questo periodo Eisenstaedt descrive le sue fotografie come candid, ovvero capaci di racchiudere l’essenza spontanea del momento, nonostante una forte carica teatrale. Ispirandosi alla luce e alla composizione dei dipinti degli antichi maestri, il fotografo realizza scatti poetici e armoniosi, tra cui anche le sue iconiche fotografie di ballerine di danza classica, in cui risuona l’eco della pittura di Degas. Il suo sguardo non è però solamente poetico, in molti casi è anche ironico e affine talvolta all’estetica surrealista diffusa in Europa all’inizio del Novecento.
Nel 1935, per fuggire alle leggi razziali, Eisenstaedt emigra negli Stati Uniti e nel 1936 inizia a collaborare con la celebre rivista americana “Life” per la quale firmerà alcuni dei suoi servizi più conosciuti. Maturato nella grande tradizione giornalistica del vecchio continente, il suo stile muta progressivamente, passando alla documentazione del veloce progresso della società americana. Abbandona la fotografia pittorica per dare spazio alla società in fermento, osservata con sguardo disincantato: i suoi scatti diventano così dinamici, mossi, con dettagli fuori fuoco e con protagonisti provenienti dalle strade di New York. Nell’arco della sua lunga carriera nella redazione di “Life”, Eisenstaedt pubblica più di 2500 servizi e oltre 90 copertine, ma la sua foto più nota rimane quella del V-J Day in Times Square.
Dopo la guerra Eisenstaedt torna spesso in Europa, fotografando in particolare l’Italia e la Francia che aveva già ritratto prima di fuggire negli Stati Uniti. Nel 1947 si reca in Italia e ritrae i profondi cambiamenti avvenuti nel nostro Paese. Nel 1963 visita nuovamente Parigi ma, invece di ritrarre l’eleganza e l’opulenza dell’aristocrazia, si concentra sui volti della gente comune, cogliendo nei suoi scatti i passanti e i frequentatori dei mercati.
A differenza di importanti fotografi dell’epoca e punti di riferimento nel mondo della fotografia, tra cui la collega di “Life” Margaret Bourke-White, Eisenstaedt non documenta la guerra ma ritrae le ragioni e le conseguenze generate nelle società, raccontandone il declino e la rinascita.
In mostra si trova anche una sezione dedicata ai ritratti di personaggi famosi realizzati fin dai primi anni di carriera, con leader politici e celebrità che hanno segnato il secolo. Fra queste troviamo Sophia Loren, il cui scatto in lingerie, apparso sulla copertina di “Life” nel 1966, suscitò scandalo o quelle di Maria Telkes, Albert Einstein e J. Robert Oppenheimer, che ci offrono il suo sguardo su alcune delle menti più brillanti del Novecento. Anche in questo contesto emerge l’evoluzione umana delle figure ritratte.
Quella di CAMERA è dunque una preziosa riscoperta di un maestro della fotografia, proposta attraverso gli scatti più famosi e quelli meno noti, che rivelano tutte le sfaccettature della sua opera: non uno ma tanti Alfred Eisenstaedt.