Moda

Nov 14 LA RUOTA

di Cristiana Schieppati

C’è chi corre ogni giorno dentro la propria ruota, convinto di andare da qualche parte. C’è chi la chiama dedizione, qualcuno la chiama carriera. Ma in realtà non si muove di un passo: solo la ruota gira. Succede negli uffici, nelle redazioni, nelle aziende. Negli ambienti dove un collega smette di salutare perché sei “uscito dal giro”, o dove chi se ne va sputa nel piatto in cui ha mangiato. Succede anche dove i più furbi si adagiano sugli sforzi altrui, travestendo l’opportunismo da collaborazione.

Capita anche a voi di sentirvi come un criceto che corre nella sua ruota? Si va veloci, ci si affanna, ma quando ci si ferma ci si accorge di essere esattamente dov’eravamo partiti. Questo senso di stanchezza, la sensazione di correre e non arrivare mai, mi perseguita da una vita. Bisogna avere un traguardo che può dare la direzione e trasformare il movimento in cammino ? Senza una meta è facile ritrovarsi dopo tanto impegno fermi nello stesso punto, perchè avere un obiettivo ci aiuta a scegliere cosa merita energia o cosa no e rappresenta una promessa che facciamo a noi stessi.

Ma c’è anche un’altra verità: vivere non è una gara. Ci sono periodi in cui non sappiamo dove stiamo andando e va bene così. In altri ci serve un orientamento, un traguardo che dia senso al passo. La difficoltà sta nel riconoscere il momento in cui cercarne uno o fermare la ruota e ascoltare il silenzio che rimane.

Avere un traguardo nel lavoro è spesso ciò che distingue il semplice “fare” dal “costruire”, chiarisce a cosa stiamo dedicando tempo, creatività e fatica. Insomma non serve per correre più forte, ma per correre nella direzione giusta.

La moda vive di cicli, trend che si bruciano e si rinnovano. Senza un traguardo questo settore rischia di lasciarsi portare dalla corrente, non solo riguardo alla professione, ma anche all’identità. Senza una direzione è solo rumore, mentre con un obiettivo la moda diventa un linguaggio. Penso che in questo particolare contesto economico e sociale dobbiamo tornare a dare significato alla moda e non a fermarla, per farla uscire da una strada che non porta da nessuna parte.

In questi mesi di lavoro intenso, concentrata a focalizzare tutte le mie energie nell’organizzazione di tre awards in pochi mesi, mi sono chiesta se il mio continuare a fare, produrre e lavorare avesse una direzione chiara, se ancora sto costruendo qualcosa, per dare un senso allo sforzo e alla continuità delle scelte.

Il Chi è Chi non è solo un progetto editoriale o un premio, ma è un punto di vista sul mondo della moda e della comunicazione e senza una meta potrebbe diventare routine, un aggiornamento meccanico, mentre l’obiettivo è che continui ad essere un osservatorio autorevole, vivo e sempre in movimento. Oggi non c’è bisogno di novità dall’effetto wow, ma di creare continuità culturale dove tutti fanno contenuti usa e getta. Viviamo un momento in cui chi non sa fare copia e chi non sa creare rincorre il passato. In questo scenario dobbiamo ricordare che l’innovazione non nasce dalla velocità, ma dalla lucidità. Non da chi grida più forte, ma da chi guarda meglio.

Ho scelto da sempre di comunicare le persone, per restituire profondità ad un settore che, per fretta e saturazione, sembra averla smarrita. Non ho bisogno di “fare altro” come spesso mi chiedono quando incontro colleghi o pr . La mia identità è ben chiara, mostrare una direzione è un servizio ed io lo faccio attraverso questi editoriali, segnalando le notizie, creando premi che hanno un senso e portando avanti un’identità chiara. Quando tutti imitano e non sanno più cosa dire bisogna fermarsi, smettere di correre nella ruota e ricominciare a camminare in avanti.

Cambiare immagine serve per rinnovare l’identità visiva o è un atto culturale? Un marchio saldissimo come Vanity Fair ha cambiato il suo logo, attingendo all’archivio storico della rivista. Guidato da Christian Schwartz di Commercial Type, il redesign emula il tipo di carattere VF Sans degli anni ’90 e la testata degli anni 2000, che erano ispirati a loro volta alle forme Art Déco del logo anni ’30 del magazine. Il redesign del 2025 si ispira alle grafiche appuntite del Jazz Age e alla geometria pulita della fine del XX secolo, rifinito pensando ai display digitali. Perchè Vanity Fair ha fatto questa mossa? L’ho chiesto a Simone Marchetti che oltre a quello italiano guida l’immagine editoriale di tutti i Vanity Fair europei ” Questo redesign è un segnale internazionale in vista di tanti cambiamenti che ci saranno nel 2026, attenzione non andiamo a togliere ma aggiungeremo nuove cose che oggi non posso dire ma che insieme a Mark Guiducci (Global Editorial Director @vanityfair) stiamo portando avanti. Il nuovo logo è pensato per essere più adatto per i device, ha un’anima più tagliente. I magazine oggi hanno un ruolo centrale perchè in un mondo dove l’ Ai crea fake news , il punto di vista autorevole serve a certificare la realtà delle notizie.”

In effetti penso che un nuovo logo serva a far capire che la storia continua, ma con un nuovo ritmo. Anche Jonathan Anderson al suo arrivo come direttore creativo ha ritoccato il marchio Dior , non perchè ne avesse bisogno, ma per comunicare uno spostamento culturale. Il logo è un codice, un respiro, un segnale. Perchè ha ritoccato le letterine? Per ricordare che il lusso non è statico ma è attenzione al dettaglio, per testimoniare che si ha una visione più grande e dimostrare che si entra in un nuovo tempo.

Basta guardare ciò che sta accadendo nella cultura pop per capire quanto i codici si stiano muovendo. Jonathan Bailey, dichiaratamente gay, proclamato uomo più sexy dalla rivista People è l’esempio più evidente che la bellezza dell’ attore britannico, noto per i suoi ruoli in “Bridgerton” e “Wicked”, non è solo estetica ma narrativa di un’identità diventata intelligente. Persino un’istituzione come quella del sindaco di una grande città come New York ha rotto i codici vecchi eleggendo Zohran Mamdani, 34 anni, primo sindaco musulmano e di origini sud asiatiche, in un momento in cui la città chiedeva un segno nuovo.

Lo sport registra segnali di trasformazione grazie al suo nuovo protagonista, Jannik Sinner che in un’intervista di Federico Ferri a Sky Italia ha dichiarato “ Orgoglioso di essere italiano. La diversità è la nostra forza”. Un’affermazione essenziale: non si tratta solo di vincere o indicare nuovi traguardi, ma di ridefinire cosa rappresenta un’identità. Se uno sportivo come Sinner, già al vertice, già icona, parla di forza delle radici ed evoluzione di se stesso e del contesto allora perchè un brand, un magazine, un progetto non può fare lo stesso? Sempre Simone Marchetti mi ha confidato che oggi i giornali devono ricominciare da capo, ma partendo dall’audience dal vivo che porta il pubblico ad avvicinarsi ai contenuti della rivista.

Se ci pensate anche noi quando ci guardiamo allo specchio desideriamo vederci in modo diverso, non per cambiare il volto ma per ritrovare freschezza, per prendersi cura di ciò che siamo diventati, per mostrarci al mondo con un’energia diversa. Per questo quando Camilla Buzzi mi ha mandato quel messaggio “Mi farebbe piacere farti provare un trattamento alla Spa di Staminalis ” ho subito detto di si, perchè sentivo profondamente il bisogno di prendermi cura di me, almeno per un’ora.

Esistono anche figure simboliche del nostro settore che si prendono cura del loro territorio. Patrizio Bertelli sta lavorando al recupero dell’area ex Lebole ad Arezzo, con progetti di rigenerazione urbana che includono demolizioni e bonifiche, un progetto ancora top secret ispirato a criteri di architettura, paesaggio e sostenibilità. Il patron di Prada ha già investito in altre iniziative locali, tra cui il recupero di Palazzo Carbonati per la creazione di un hotel di lusso, e il sostegno a progetti come La Buca di San Francesco e il Caffè dei Costanti. 

Per non parlare di Brunello Cucinelli, nella sua Solomeo il rinnovamento è filosofia, armonia e cura del lavoro umano. Il 4 dicembre saremo tutti a Roma a Cinecittà per assistere alla prima mondiale del film documentario realizzato da Giuseppe Tornatore dal titolo “Brunello il visionario garbato” e chi l’ha già visto in anteprima mi ha assicurato che è bellissimo e commuovente quindi prepariamoci alle lacrime e mettiamo mascara waterproof.

Emanuela Alessandro la pr di Longines, mi invita sempre a vedere la Longines FEI Jumping World Cup™ che si tiene l’ultimo giorno di Fieracavalli, ci vado insieme a mia figlia Ludovica che da sempre pratica questo sport. Al tavolo ritrovo sempre le colleghe Paola Saltari, Antonella Bigotto e quest’anno anche il vicedirettore di Grazia , Piero Macchioni, che ha due figlie gemelle (ma diverse) che sono appassionate del mondo equestre. Ogni edizione di questa manifestazione racconta di nuove tecnologie, approcci più etici alla gestione dell’animale, discipline che evolvono, non è solo una fiera ma un osservatorio. Il legame millenario che unisce l’essere umano al cavallo ci può insegnare qualcosa sul cambiamento, una metafora potente di come si affrontano le transizioni, con equilibrio e con rispetto.

Tutto questo per dire che il cambiamento non è un atto di rottura ma di cura. Si cambia quando si cresce, quando si capisce che restare immobili è più rischioso che muoversi, quando si desidera abitare il presente con maggiore autenticità. Ricordiamoci che il mondo cambia comunque, sta a noi decidere se subirlo o accompagnarlo.

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