Si è tenuta in questi giorni l’edizione 2025 del The Urban Mobility Council, il think tank sulla mobilità promosso dal Gruppo Unipol. L’evento, sostenuto da istituzioni italiane ed europee con patrocini che fanno curriculum solo a leggerli, ha portato a galla alcune verità scomode: le nostre città non sono progettate per essere sicure. Ma niente paura, ci pensa l’Intelligenza Artificiale. Forse.
A dare speranza è RoadSafeAI, modello sviluppato dal Politecnico di Milano con UnipolTech, che analizza immagini stradali e dati telematici per mappare i punti critici della viabilità urbana. Immaginatevi una Milano divisa in quadratini da 200×200 metri, ognuno schedato come un sospetto in questura. L’algoritmo assegna un punteggio di rischio da 0 a 10 e, con una precisione del 95%, dice dove potremmo fare una brutta fine. Utile, se non fosse che il vero rischio, spesso, è il legislatore.
Nel frattempo, al MIT Senseable City Lab, Carlo Ratti e soci si sono messi a studiare il legame tra il design delle strade e la velocità reale di guida. Spoiler: i cartelli “30 km/h” fanno poco. È la forma della strada – quanto è stretta, visibile, chiusa o aperta – a farci schiacciare o meno sull’acceleratore. La ricerca, condotta tra Milano, Amsterdam e Dubai, mostra che serve ripensare l’urbanistica, non solo aggiornare la segnaletica.
Tutto questo è stato condensato anche nel primo Rapporto The Urban Mobility Council, realizzato con Isfort. Tra i dati più deprimenti: il trasporto pubblico è praticamente un hobby (meno dell’8%), l’auto resta regina (spesso una vecchia regina: 1 su 4 ha oltre 20 anni), e la mobilità elettrica? Marginale. L’Italia si muove meno, e male. Intanto, i morti sulle strade superano i 3.000 l’anno, con incidenti concentrati nelle città.
Il documento lancia un appello per potenziare i PUMS, integrare l’ambiente con l’innovazione (Green Box, chi era costei?) e orientare gli incentivi in modo meritocratico. Bello sulla carta. Da vedere se chi di dovere saprà leggere.
Tra gli interventi di giornata, nomi altisonanti come Enrico San Pietro (Unipol), Sergio Savaresi (Polimi), Carlo Ratti (MIT), politici assortiti e persino Maya Weug della Ferrari Driver Academy. L’impressione? La tecnologia c’è, le idee pure. Quello che manca, come al solito, è la volontà di usarle bene.