Viviamo una quotidianità che premia la vittoria rapida, la performance costante e il successo visibile. Eppure, come una luce in fondo al tunnel, c’è ancora spazio per valori antichi ma fondamentali: saper perdere con dignità, prendersi cura degli altri e del contesto, mettersi in gioco con responsabilità e coraggio. Tre uomini molto diversi tra loro – un atleta, un imprenditore-filosofo e un top manager visionario – raccontano attraverso le loro scelte un’idea di successo più profonda. Non solo da misurare in titoli, fatturati o carriere, ma da leggere nella qualità dei gesti e nella coerenza delle azioni.
Quando Jannik Sinner ha perso in finale al Roland Garros contro Alcaraz, il pubblico ha osservato più di un atleta sconfitto: ha visto un giovane uomo capace di accettare di perdere senza alibi, con uno sguardo limpido e un sorriso educato. Nessuna racchetta spaccata, nessuna polemica, solo la volontà di guardare avanti. Non sono servite le controversie sul tifo da stadio a favore dello sfidante spagnolo e nemmeno la telecamera che indugiava senza pietà sul visto della mamma di Jannik, che soffriva con noi fino alla fine. In un tennis sempre più spettacolarizzato, dove l’emotività spesso prende il sopravvento, Sinner rappresenta un nuovo stile: quello della sobrietà vincente anche nella sconfitta. Perché saper perdere con classe non è segno di debolezza, ma di forza interiore. È la dimostrazione che si può restare integri anche quando il risultato non è dalla tua parte. Un insegnamento prezioso, dentro e fuori dal campo. Per chi lavora nella moda, dove è una corsa continua al like, alla prima fila, all’invito , dove viene premiata velocità e visibilità, nessuno vuole perdere. Ed è in questo rifiuto alla perdita che si consuma l’errore più grande, quello della perdita di autenticità, dell’ascolto, della possibilità di sbagliare per poi fare meglio. La paura di perdere genera conformismo, omologazione: si copia, si rincorre, si produce, si cancella. Cosi avviene anche nell’editoria dove se il giornale non si vende si prende lo spazio degli altri, magari inventandosi un premio come se fosse una novità. Il vero stile non si vede nella vittoria rumorosa, ma nel passo indietro consapevole, nel prendere del tempo per ricominciare senza ansia da prestazione. E’ più fragile chi perde o chi non accetta di poter perdere?
Nelle colline umbre, Brunello Cucinelli ha costruito non solo un’azienda di moda, ma un’idea di capitalismo gentile. Le sue scelte, dal restauro del borgo di Solomeo alla distribuzione equa del valore prodotto, parlano di una visione umanistica dell’impresa, dove il profitto non è mai disgiunto dalla dignità delle persone.
“Prendersi cura”, per lui, non è solo una questione estetica o morale: è un principio di vita. Delle persone, del paesaggio, della comunità. In tempi di crisi ambientale e disgregazione sociale, in un tempo dove i venti di guerra soffiano sempre più forti, Cucinelli ci ricorda che la vera eleganza non sta solo nei capi che indossiamo, ma nel modo in cui viviamo, costruiamo e rispettiamo ciò che ci circonda. Non a caso settimana scorsa ha presentato la Settimana della Custodia, un progetto che invita alla sensibilizzazione e alla cura del bene e della bellezza comune, per custodire al meglio le meraviglie architettoniche di Perugia. Il marchio è stato registrato affinché possa diventare un modello da poter applicare anche in altri contesti. “Una volta la campagna era pulita, tutto era più ordinato, ho pensato che questo progetto possa diventare un bell’esempio che possa dar vita ad uno spirito di emulazione anche in altre città . Il pubblico non è un luogo di nessuno ma di tutti e le persone se si sentono coinvolte in un’azione in cui diventano protagoniste possono dare molto di più“. Mi piace incontrare Brunello Cucinelli perchè ti parla come se fossi al tavolo di un caffè nella piazza del Paese e mi fa sentire assetata di racconti e di riflessioni sulla vita. Ho approfittato anche per chiedergli qualche parere sulle condizioni dei lavoratori che sono un argomento all’ordine del giorno (ultimo lo sciopero delle lavoratrici nella fabbrica di Max Mara ) e mi ha fatto notare che in alcuni siti produttivi chi lavora non ha nemmeno una finestra “Non avere una finestra da dove guardare il cielo o far entrare la luce del sole è una scelta deliberata, serve ad evitare distrazioni , a non far perdere tempo ed a garantire che lo sguardo resti fisso sul lavoro che si sta svolgendo” mi ha spiegato. E’ il paradosso di un’industria che detta i codici della bellezza e spesso non si prende cura delle condizioni di lavoro. Finché penseremo che chi lavora nella moda è fortunato a prescindere continueremo a giustificare pratiche che, in altri settori verrebbero considerate inaccettabili.
Dall’Italia alla Francia, passando per la Spagna e la Germania, Luca de Meo ha attraversato alcune delle realtà più complesse dell’industria automobilistica europea. Ma ciò che lo distingue non è solo il curriculum, quanto la sua capacità di mettersi in gioco ogni volta, senza arroganza, ma con uno spirito pionieristico e inclusivo.
Alla guida di Renault ha puntato su innovazione, sostenibilità e apertura culturale. Ha ristrutturato senza licenziare in massa, ha scommesso sulla creatività come motore industriale, ha lavorato per dare un’anima a un settore in trasformazione. De Meo è il volto di una leadership moderna: capace di rischiare, ma anche di ascoltare e coinvolgere. Una forma di potere che non impone, ma ispira. Da ieri si parla di lui come il nuovo Ceo di Kering visto che lascerà Renault il 15 luglio, forse atteso proprio per imprimere un approccio strategico tra marketing, rigore finanziario e visione a lungo termine. Nel frattempo la notizia ha già fatto salire il titolo Kering tra l’8% e il 10%, io sono felice per lui, il suo nome mi accompagna da una vita è uno dei “ragazzi” che mia madre porta nel cuore e quindi gli posso solo augurare un grande successo, soprattutto ora che è diventato da poco anche un giovane nonno. Mi tornano in mente le parole di Franca Sozzani quando iniziai a lavorare e fui la prima ad avere uno sponsor automotive in un evento moda e parlandone con lei mi disse “La moda e l’auto sono due mondi completamente opposti, ma chi lo sa se un giorno troveranno un punto in comune”. Auto e moda condividono innovazione, estetica, sostenibilità e storytelling: anche un’auto, come una borsa, puo’ diventare icona culturale.
Tre uomini, tre mondi, un’unica lezione: lo stile – quello vero – non è mai superficiale. È nella compostezza con cui affrontiamo una sconfitta, nella cura con cui trattiamo gli altri, nel coraggio con cui accettiamo la sfida del cambiamento. In un tempo in cui il rumore spesso sovrasta il senso, Sinner, Cucinelli e De Meo ci mostrano che esiste ancora una via fatta di eleganza, integrità e visione. Non è la più facile, ma è certamente oggi la più necessaria.
Sempre un ottimo e tempestivo mezzo di comunucazione e informazione.
Complimenti vivissimi
Una professionista come sempre