Quando Luca de Meo entrò nel gruppo Fiat aveva 35 anni, era il 2002, un giovane dinamico e ambizioso, a cui affidarono la responsabilità del marchio Lancia. Una Fiat che attraversava uno dei suoi tanti percorsi turbolenti, Luca si era già occupato di Renault e di Toyota, prima di sbarcare a Torino. Il suo primo contatto con la stampa italiana – non più di 6/7 giornalisti – avvenne in una specie di sottoscala, in una via parallela a corso Marconi, dopo la breve conferenza, volle spiegare che aveva deciso di ritornare in Italia per aiutare l’azienda del Lingotto a ritrovare un ciclo di splendore. Dopo Vittorio Ghidella la Fiat fu nelle mani di diversi amministratori delegati che si occupavano più di finanza che di prodotto, sino all’arrivo, nel 2003, di Sergio Marchionne che prese a ben volere Luca, tanto da designarlo ceo di Fiat, in seguito anche di Alfa Romeo. De Meo reinventò la mitica 500, un successo straordinario, Luca e Sergio, la sera della presentazione della vettura, percorsero a piedi, il centro di Torino, tra due ali di operai che li applaudivano, ringraziandoli per aver assicurato un futuro al loro lavoro. Ma le sue aspirazioni puntavano ad altri traguardi, nel 2009 de Meo decise di lasciare l’azienda , per entrare in Volkswagen come referente delle vendite e del marketing. Marchionne si sentì tradito, per lungo tempo evitava di incontrarlo ma, un mese esatto prima di morire, ammise di aver sbagliato nell’averlo messo nelle condizioni di dimettersi. Luca de Meo non ha portato nessun rancore, anzi ha riconosciuto la sua gratitudine nei confronti di Sergio Marchionne : “è stato colui che ha avuto il coraggio e l’intuizione di farmi indossare per la prima volta la maglia numero 10 da titolare”. Ora, dopo cinque anni passati alla testa di Renault, ha lasciato il gruppo francese, ammettendo di avere un coraggio forse “un po’ squilibrato”, oggi la Losanga appare in uno stato di trasformazione strategica e di ripresa progressiva, dopo aver superato una crisi profonda. Luca ha dimostrato ancora una volta di essere un manager dallo stile singolare, che ha indubbiamente segnato l’industria dell’automobile transalpina, senza dimostrarsi dittatore e senza alzare mai la voce, a volte impaziente e parecchio esigente, ma con modi perennemente educati. Al suo arrivo a Boulogne-Billancourt, nel 2020, il costruttore appariva esangue , segnato da tensioni interne, dal calo di vendite e da una governance indebolita. Questo italiano, ormai con le tempie argentate, dagli abiti sempre impeccabili, coltivando una visione cosmopolita, ha ripristinato la redditività con azioni studiate: riduzione dei costi, rifocalizzazione sui modelli più vantaggiosi e accelerazione verso la transizione energetica con il ritorno delle Renault 4 e 5 in versioni a zero emissioni. Da qui è stata avviata la sua “Renaulution” che si posiziona sul mercato dei veicoli ad alto valore aggiunto. I risultati sono immediati, nel 2024 sono stati registrati utili record – 4,26miliardi di euro – e l’azione ha ritrovato i colori più smaglianti. Ha esteso il brand Alpine attraverso la Formula 1, ha ridisegnato l’alleanza con Nissan, disimpegnandosi, progressivamente dal termico grazie alla coimpresa Horse, fondata con la cinese Geely. Ora ha ritenuto compiuto il compito affidatogli, ha voltato pagina, per affrontare un’altra sfida, rilanciare Kering, in totale libertà d’azione, dovrà affrontare il rilancio di Gucci , in grande difficoltà, ripristinando la sua immagine di marca, Gucci rappresenta il 60% dei margini e il 40% delle vendite del gruppo, considerando che il lusso rallenta sia in Cina che negli Stati Uniti. Dovrà navigare, oltre che in questi due mercati, anche in Europa, dove le dinamiche evolvono in modo diverso.