Per anni il settore moda ha inseguito due direttrici: da un lato l’esclusività, dall’altro la democratizzazione attraverso il digitale. Oggi, invece, sembra emergere una terza via: la moda come esperienza imprevedibile, capace di sorprendere in un mondo saturo di contenuti e tendenze.
Non è più sufficiente l’iconico logo, né la limited edition. Il vero valore aggiunto è l’elemento inatteso.
Ad esempio la mistery box che trasforma un acquisto in un gioco è uno dei fenomeni più interessanti perchè unisce lusso, gaming e social. E’ letteralmente una scatola a sorpresa dove l’acquirente, pagando un prezzo fisso anche alto, non sa cosa riceverà. Sostanzialmente i brand hanno trovato un modo di disfarsi di capi delle vecchie collezioni, accessori in edizione limitata, collaborazioni speciali: insomma si smaltiscono gli stock in modo creativo senza svalutare l’immagine. Se andate su tiktok trovate i video di creator che spacchettano “Wow una borsa di Michael Kors del valore di 120 euro!” o dal cinese in Paolo Sarpi trovate un bancale pieno di pacchi resi da pescare a caso. Ovviamente la mancanza di trasparenza può deludere i clienti è un po’ come un appuntamento al buio dove non sai esattamente se chi incontrerai sarà un figo o una ciofeca, il tutto ovviamente in contrasto con una scelta consapevole che in epoca di sostenibilità è come sempre un controsenso.
Questo sottolinea che nella moda non basta possedere, bisogna vivere un’esperienza. E infatti le collaborazioni iniziano a mescolare universi lontani, come Jaden Smith che mescola attivismo, musica e moda. Lui è il figlio di Will Smith con il quale aveva recitato piccolissimo nel film Alla ricerca della Felicità ( e giù lacrime), come il padre ha uno stile personale molto forte tanto che Christian Louboutin lo ha scelto come direttore creativo per la linea uomo. Il suo debutto è fissato a gennaio a Parigi, dove ha scelto di vivere, e sono previste ben quattro collezioni l’anno. Jaden potrebbe portare nel brand elementi meno tradizionali e ci sarà un impatto importante nello storytelling, collaborazioni con altri artisti, eventi e esperienze immersive.
C’è poi chi passa dal cinema alla cucina, al beauty e alla moda con la velocità della luce (e del budget) come Gwyneth Paltrow che ha reinventato la sua linea di moda GWYN ( rebranding della sua linea G.Label). Minimalista, raffinata, capi ( per ora 36) con pezzi essenziali quasi sempre neri, la linea è frutto della collaborazione con Sofia Menassè, designer che ha già lavorato con The Row e Maison Margiela. Insomma una linea in coerenza con la sua immagine pubblica: già con Goop si trattava di bellezza ed estetica del vivere e potrebbe diventare un punto di riferimento per chi vuole moda ben fatta con una visione meno effimera.
Dopo mesi turbolenti anche Chiara Ferragni è tornata a scrivere il futuro del suo marchio. Non un semplice restyling estetico ma un’operazione di rebranding totale che segna la linea di confine tra un prima e un dopo. Sparito il logo con l’occhiolino e i glitter, al loro posto una palette minimal, blu su sfondo giallo burro, profilo Instagram completamente ripulito, a segnare una nuova pagina pronta ad essere riscritta. La prima capsule Collection (che io mi sarei aspettata con Miu Miu o Chanel che continuano comunque a mandarle capi da indossare), nasce insieme al collettivo Rivoluzione Romantica che porta nel suo guardaroba felpe e t-shirt con slogan dal sapore adolescenziale ed emotivo, una moda manifesto di una generazione fragile o una moda per una generazione fragile? Certo la sfida è alta, il “pandorogate” pesa ancora e io lo vedo più come un esperimento, come dire… mi do della sottona, resto umile, e vediamo se posso diventare un modello anche per altri creatori e imprenditori. Più che una novità sembra un adattamento, ma non rappresenta un guizzo originale, gli slogan “Illusi per sempre” sembrano più un esercizio di marketing e il brand, che porta ancora il nome di Chiara Ferragni è un asset potente, ma anche un limite. Sarà così empatica la nostra Chiara da riuscire ad intercettare i sentimenti e le fragilità di una generazione o sopravviverà solo come merchandising personale perdendo ogni ambizione di moda?
Il nuovo passo sembra proprio quello di abbandonare la prevedibilità, e quindi anche la famiglia Ruffini (i proprietari di Moncler) ha acquisito una piccola quota del gruppo La Bottega che produce amenities e prodotti di lusso, in sostanza forniture per hotel di alta gamma dalla biancheria al beauty. Questo amplierà il raggio d’azione del gruppo investendo in un segmento con domanda relativamente stabile, meno soggetto a mode passeggere ed inoltre avere un piede dell’azienda in hotel di alto livello può essere un’estensione naturale della visione luxury sul piano internazionale.
Anche il mondo editoriale si lancia in un debutto mediatico: EE72 è un nuovo media sia in versione digitale che print (trimestrale) diretto da Edward Enninful (ex direttore Vogue UK ) e sua sorella. Il lancio ufficiale è proprio in questi giorni, primo numero senza inserzioni pubblicitarie per garantire libertà creativa, in copertina Julia Roberts. In un momento in cui tutti lamentano la saturazione digitale, il ritorno alla carta di qualità da parte di un fondatore autorevole può essere visto come valore aggiunto. Ma senza pubblicità una rivista cartacea su scala globale ha costi altissimi e la concorrenza è molto forte, distinguersi non sarà facile.
Persino Renzo Rosso, fondatore di Diesel e del gruppo OTB ha organizzato per i suoi 70 anni una festa che è un manifesto del suo carattere imprenditoriale. 2000 invitati ( mannaggia a te che ti ho pure premiato e non mi hai invitata), sul palco Jovanotti ( io venivo per lui eh!) ed altri performer che hanno indossato abiti del gruppo. In occasione del compleanno è uscito anche Seventy con prefazione di Vanessa Friedman la mitica penna del New York Times. Io mi accontenterò felice di andare al compleanno di Francesca Senette che compie finalmente 50 anni e che al massimo mi ha messo come dress code il Black and White.
Persino il sequel de Il Diavolo Veste Prada ha bisogno di rilanciarsi e , passaparola dopo passaparola, il mondo della moda ha avuto una botta di adrenalina quando attraverso i social è apparsa la notizia che la produzione statunitense girerà alcune scene a Milano e quindi si è tenuto un casting per trovare comparse. Ecco i messaggi che mi sono arrivati su whatsapp: “Mamma vai al casting? “( mia figlia) ” Cri ma tu sai dove si tengono i casting” (la collega fashionista) “Cri ti hanno presa nel film” (la cronista fiduciosa). Ora secondo voi io vado a fare il casting per dimostrare che ho più di 30 anni, che lavoro nella moda e che potrei avere un futuro ad Hollywood ? E magari faccio anche la fila ? Vi sembro il tipo? …no no , sono troppo snob… se mi vogliono mi vengono a cercare ( ahaha)
Comunque ragazzi è arrivato quel momento dell’anno, quello che mi fa consumare tutto il ferro che faticosamente prendo ogni giorno: i CHI E’ CHI FASHION COMMUNITY AWARDS. Io ci lavoro da 25 anni ma non mi sono ancora abituata e credetemi quando sono su quel palco che guardo davanti a me le 150 persone sedute nella sala Alessi io vorrei scappare. Ha ragione Carlo Capasa quando in conferenza stampa annunciando il premio inserito nel calendario della MFW ha detto “Sembra ieri” e in questi giorni che lo precedono la mia ansia pulsa come un battito accelerato. La paura che qualcosa sfugga, i dettagli da controllare, la scaletta che si formula sugli impegni di tutti. Per celebrare questa edizione ho scelto il tema dei legami, il filo che unisce chi crea e chi indossa, chi racconta e chi ascolta, chi applaude e chi si mette in gioco. Ogni “ci sarò” che arriva in questi giorni costruisce una rete che sostiene , alleggerisce e dà senso alla sforzo. La fatica diventa energia, la paura una spinta. Il premio di quest’anno celebra i legami, che sono il vero capitale di questo mondo fragile e meraviglioso che chiamiamo moda. Ed è li che l’ansia si scioglie: non nei numeri, non negli applausi, ma nello sguardo di chi c’è.