Moda

Mar 22 QUANDO ENRICO COVERI MI DISSE “CON I COLLEGHI? CI ODIAMO TUTTI”

di Maria Vittoria Alfonsi

Il mese scorso, come è stato ricorda in occasione di quello che sarebbe stato il suo settantaduesimo compleanno, Enrico Coveri è stato celebrato dal Comune di Firenze, ed a lui verrà anche dedicata una strada. Enrico Coveri…oltre che un grande stilista un amico, come si può evincere da uno dei miei incontri con questo fiorentino acuto, arguto e spiritoso, ammirato e invidiato da tanti altri giovani.

Lo andai a trovare nell sua sede di Ormannoro, a Sesto Fiorentino  (anche se il  confine con Firenze mi risultò impercettibile). Coveri era già conosciuto da tempo internazionalmente, ed il successo gli consentiva di svagarsi, di prendere la vita con allegria. Presentava glà da alcune stagioni la sua collezione a Parigi: occasione in cui invitava ad una colazione la stampaaaa italiana nella sua splendida casa vicino all’Arco di Trionfo.

Le sue giornate cominciavano alle 10/11 del mattino  – se non dopo! – per proseguire fino all’alba, a seconda delle esigenze di lavoro o di svago: “perché lavoro per divertirmi, è evidente. Bisogna divertirsi, se no…”.

A Orsmannoro c’erano pure una signora alta, bionda, bella: Silvana Martini Coveri, sorella di Enrico, ed amministratore delegato della Società oltre che madre di Francesco, che seguirà le orme dello zio; e poi la bionda Beatrice  e la bruna Maddalena (sempre efficientissime).

Fra grandi poltrone, divani e tappeti nei quali si ritrovavano le tinte forti amate da Enrico (viola, verde, giallo, rosso, blu: decisi, netti, accostati artisticamente fra loro: uniti alle paillettes formavano la sua sigla)  incontrai “il Maestro”, come lo sentii chiamare.

“Allora -mi disse  scherzosamente non appena mi vide – ti stai preparando per il Quirinale? ” Potevano trascorrere mesi senza che ci vedessimo extra-sfilate e poi ci incontravamo quando c’era un invito del Presidente della Repubblica al Quirinale, dove arrivavamo assieme. “Per il momento mi preparo al Coveri”, gli risposi

E mi torna alla mente una parte della nostra lunga conversazione.

Perchè presenti le tue collezioni a Parigi?

“Vi trovo sempre un grande stimolo e provo nuove emozioni per le moda: basta andare per le strade, fra la gente, e vedi magari un normale gonna messa in un modo particolare. E’ molto interessante”.

Hai un tipo di donna ideale che vorresti vestire?

“Più o meno le mie donne ideali le ho vestite tutte”.

E sono?

“Le giovani under 30  d’assalto!”

Nonostante questo, le tue creazioni vengono indossare anche dalle under ed over 40…”.

“Che sono le mie più grandi clienti! Anche se il prodotto è dedicato alle under 30 viene acquistato soprattutto da loro”.

Questo vuol dire, se già non lo sapessimo,  che le donne giustamente desiderano sempre e comunque sentirsi e vedersi – almeno esteriormente- giovani.  

“Eh, sai! Tutte quelle che vorrebbero andare da Pitanguy in fondo con un vestito Coveri hanno lo stesso risultato: senza sacrificio, fatica e dolori”.

Ed anche spendendo meno, variando… Ma dimmi: sei legato all’industria?

“Moltissimo. Anche perché, oggi, senza industria non c’è moda. Vedi, ad esempio mi domando chissà quale industria avranno dietro i giovani: forse non l’avranno, e saranno costretti a produrre in casa per trasmettere le loro emozioni. Quando potranno avere la loro esperienza, la loro industria, i loro tessuti, i loro appoggi  per esercitare questo lavoro , sarà tutto diverso”.

Ma l’industria non imbriglia la tua creatività?

“No! Anzi, l’aiuta. Anche perché  aiuta a rendere pratica la mia creatività”

Da un colloquio fra il creatore e l’industria può nascere il prodotto più appetibile al pubblico?

“Esatto: quello che poi la gente si mette. Tutto lì.”

A parte questo, nel tuo lavoro incontri difficoltà?

“Ogni  giorno, ne troviamo; dobbiamo cercare di superarle brillantemente. Si cerca di arrabattarsi”.

I rapporti con i tuoi colleghi esistono, come sono?

“Li amo tutti, e li odio tutti” – rispose Enrico ridendo.

Vi odiate tutti?

“Diciamolo, tanto è la verità.”

Perchè vi odiate?

“Perchè siamo tutti delle prime donne: ognuno deve avere un reame”.

Non pensate che vi possono essere tanti regni? Poi, potreste trovarvi  che so…ad una vostra ONU…Vi trovate già al ballo a corte, in Quirinale.

“Certo che possono esservi tanti regni: tant’è vero che il mio l’ho creato a Firenze, per restare in pace e prendermi il maggior spazio possibile”.

Anche se Firenze  è la città di Emilio Pucci, dei Gucci, dei Ferragamo,  pur se  hanno un’altra visione di vita: ma non pensate che possa esservi un Gandhi che predichi l’amore, la bontò, la comprensione fra voi?

“Non avrebbe il successo di Gandhi!”.

Niente e nulla potrebbe farvi cambiare?

“Niente e nulla!”

Quali difetti trovi nei tuoi colleghi per giustficare questi sentimenti?

“Tutti quelli che loro trovano in me”.

E sono tanti?

“Tantissimi! Forse la mia meta è quella che descrisse Françoise Sagan quando ha fatto un mio ritratto:”Ciò che interessa a lui non sono i soldi, quanto il sentire il suo nome rimbombare  da una stanza all’altra, in tutto l’emisfero”.

Perciò fama e celebrità universale più che denaro.

“Sì: più essere conosciuto  e riconosciuto , che guadagnare soldi”. 

 –Per il nuovo millennio come potrà essere la moda?

“Ritengo che sarà più facile, più basica, fatta di tanto confronto. Non sarà una moda imposta. Vedremo. Se vi saremo, vedremo. Se no vedremo tutto dall’altra zona”.

Ridendo, l’intervista terminò: con l’ironia di cui Enrico era capace mentre ci veniva offerto un  graditissimo caffè.

Mai avrei immaginato che le sue ultime parole rappresentassero quasi una terribile premonizione.

Nel corso dell’intervista erano passati vicino a noi alcuni ragazzi dell’ équipe Coveri, di varie nazionalità; alcuni mi avevano salutato sorridendo, con cordialità; altri con interesse, altri ancora con diffidenza, quella stessa diffidenza che avevo letto negli occhi dei ragazzi partecipanti al Trend, il salone dei giovani per la moda giovane. Non immaginavano che avrei potuto insegnare disegno di moda: il mio hobby e la mia passione. Mentre gli studi umanistici mi impegnavano da una parte, i corsi scuola dell’arte mi  rilassavano dall’altra: uno di periodi più belli e spensierati della mia vita. Anche se non  mi pettinavo da moicano, non usavo il tutto-nero.   

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