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Lug 26 QUASI COME GAGARIN, 60 ANNI DOPO

di Carlo Sidoli

Tra le molte considerazioni che si possono fare a margine dei recenti accenni di turismo spaziale, balzati in cronaca a seguito delle ben pubblicizzate “imprese” di un paio di miliardari in vena di goliardico esibizionismo competitivo, possiamo entrare nel merito della questione dell’inquinamento atmosferico che ne è conseguito e ne conseguirà se la cosa (come pare) andrà avanti. I due protagonisti, Richard Branson e Jeff Bezos, che hanno speso somme stratosferiche per cercare di passare alla storia e appagare il loro ego sproporzionato, non si sono lasciati perdere l’occasione per raccontarci come, grazie alla loro tenacia e al loro carattere, siano riusciti a realizzare i sogni che fin da bambini (prodigio) li indirizzavano alle stelle; Richard e Jeff sono convinti che le loro storie possano interessare a qualcuno, e hanno ragione. Vediamo infatti i metri quadri di carta stampata sui rotocalchi e le interviste in rete, naturalmente con i soggetti vestiti da astronauti, a cavallo nel loro ranch, in costume sul bordo della piscina e accanto alle fuoriserie del loro parco macchine. Com’è diversa la storia dei veri astronauti iniziata decine di anni fa (il volo orbitale del russo Jurij Gagarin è del 1961): piloti specializzati di aerei supersonici, militari di carriera, votati all’avventura spaziale in cui alcuni coraggiosi colleghi hanno perso la vita. Le loro imprese, al paragone di quelle dei dilettanti attuali,  stanno come quelle di Cristoforo Colombo a quelle di Francesco Schettino. Ma non divaghiamo e veniamo al caso di alcune “balle spaziali” che i nostri eroi hanno raccontato per replicare alle critiche espresse da molti e autorevoli esperti di inquinamento atmosferico, qualora il turismo spaziale diventasse un’attività regolare da 400 voli all’anno (tanti se ne prevedono). Richard Branson ha minimizzato che, in fondo, ogni passeggero del suo veicolo spaziale ha “sporcato” quanto un tizio che avesse volato su un aereo di linea transatlantico per una decina di migliaia di chilometri; solo che Branson di chilometri ne ha fatti solo 160.  Sorvolando su quanto è certamente costata in soldi e inquinamento tutta la preparazione delle due missioni concorrenti “suborbitali” (che poi di questo si tratta) Jeff Bezos ribatte che la sua creatura “New Shepard”, che si porta a bordo come propellenti idrogeno e ossigeno liquidi, inquina molto meno di quella di Branson perché immette in atmosfera solo vapor acqueo e niente componenti carboniosi. Evidentemente sorvola sul fatto che l’idrogeno si ottiene con fatica e quasi mai da fonti “rinnovabili”. In altri termini, produrlo inquina, oppure costringe a complicate e costose operazioni per impedire danni all’atmosfera. Ora notiamo che accanto a quello dei due “pionieri” del turismo spaziale, cui viene riconosciuto il coraggio di aver partecipato personalmente al primo volo, manca il nome di Elon Musk, il terzo e più importante imprenditore con interessi aerospaziali, proprietario della società SpaceX che lavora in collaborazione con la NASA e per conto della quale rifornisce di personale e di materiale la Stazione Spaziale Internazionale e mette in orbita una miriade di satelliti artificiali. Bezos ha mal digerito la scelta della NASA e ha protestato vivacemente, ma non ha i razzi e l’esperienza di SpaceX e la sua reazione sembra, più che altro, una mossa scontata e un atteggiamento “di facciata”. Il relativo silenzio di Musk e la sua “non partecipazione” alla gara per arrivare primi che si è svolta in questi giorni è significativo. Dal momento che i suoi razzi della serie “Falcon” sono molto affidabili e che il recupero degli stessi, da riutilizzare in missioni successive, è cosa normale, risulta implicito che se avesse voluto organizzarsi per un volo suborbitale con turisti a bordo avrebbe anticipato tutti e di gran lunga. In secondo luogo, Musk ha programmato l’invio di “gente comune” (comunque molto facoltosa) in orbita attorno alla Luna, poi a passeggiare sul suolo satellitare e infine con obiettivo Marte. In ogni caso è l’irruzione del “privato” in attività che, per via anche delle implicazioni militari, furono sempre appannaggio dagli apparati ufficiali degli Stati.

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