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Feb 10 SINDROME CINESE

Collaboratore

Molti automobilisti avranno notato che accade molto spesso di vedere due vetture nuove di fabbrica, dello stesso Costruttore e modello, equipaggiate una con pneumatici di una certa Marca e l’altra con pneumatici aventi la medesima misura e caratteristiche, ma di una Marca diversa. Lo stesso accade per la batteria, i fari e tanti altri componenti dell’auto. C’è dunque l’evidenza che gli “Uffici Acquisti” delle Case automobilistiche hanno la necessità di diversificare il “ventaglio” delle forniture. Una necessità che deriva dal fatto che se si avesse un solo fornitore e questi andasse in crisi (scioperi, fallimenti o altro) in poco tempo si svuoterebbero i magazzini delle scorte e si interromperebbe la produzione. Questa precauzione si applica ovunque, da parte delle industrie manifatturiere e non solo, e fa parte di una corretta programmazione. Fino a qualche decennio fa l’area dove scegliere i fornitori era circoscritta in ambito continentale o pressapoco. Per tornare all’esempio iniziale, si trattava di un interscambio europeo dove da un lato erano Fiat, VW, Renault, eccetera e dall’altro Michelin, Pirelli, Continental, eccetera. Oggi il “panorama” è cambiato moltissimo in quanto i Costruttori si sono notevolmente ridotti di numero e l’area geografica di produzione si è allargata a tutto il pianeta. È uno degli effetti della “globalizzazione” e, più precisamente, di quella sua derivazione che va sotto il nome di “mercato globale”. Con il prevalere dell’aspetto economico su quello ideologico (questa è una buona cosa, perché le ideologie si reggono molto spesso sulle armi), oggi chi vuole o deve acquistare un prodotto può scegliere in tutto il pianeta e, naturalmente, si serve da chi glielo fornisce al minor prezzo, fatta salva la qualità. Non per niente l’uomo più ricco del mondo (l’americano Jeff Bezos) è uno che vi fa arrivare a casa quello che desiderate, in un paio di giorni, prelevandolo da ogni dove, trasferendolo con qualsiasi mezzo, al prezzo più conveniente.

 

Naturalmente questo sistema ha molti vantaggi, ma anche molte conseguenze negative perché, tanto per cominciare, distrugge l’economia locale che non è in grado di reggere il confronto economico con il mercato globale. Gli economisti, ma anche i filosofi, i sociologi, oltre che naturalmente i politici e i “tuttologi”, ne hanno tante da dire sull’argomento e dibattono su dazi e protezionismi. Fatto sta che è sotto gli occhi di tutti che la Cina è il Paese che più di ogni altro ha tratto vantaggio dalla globalizzazione del mercato. Non possiede tante materie prime, ma dove ha potuto ha acquisito giacimenti (vedi in Africa) e diritti di sfruttamento, in tutti i sensi; la  tecnologia l’ha ricevuta dagli occidentali che hanno trasferito le fabbriche in Cina dove la manodopera è abbondante, operosa, poco costosa, con poche pretese in  materia di welfare e sempre più qualificata. Così, mentre una volta si “diversificava” la scelta dei fornitori, anche scegliendoli volutamente in nazioni diverse, oggi gran parte del mondo, dimenticando la prudenza, fa shopping esclusivamente in Cina. Purtroppo però, la malattia epidemica grave del Coronavirus, imprevista e paralizzante (in senso figurato) ha bloccato il sistema cinese, costringendo a casa il personale, da cui consegue un grave rischio per gli approvvigionamenti e una minaccia per l’economia mondiale, così com’è oggi strutturata. Non resta che sperare, innanzitutto per la salute della popolazione, che si trovi presto un vaccino, come avvenne per le altre recenti epidemie (suina, aviaria, eccetera), che però evidentemente hanno insegnato poco o sono inevitabili. E così la Casa coreana Hyundai è il primo produttore automobilistico a fermare la produzione di un modello (la Genesis) per mancanza di pezzi di  ricambio, che non arrivano più dalla Cina, mentre altri si preparano a fare altrettanto, oppure, come Toyota, si sono limitati a chiudere le fabbriche impiantate in territorio cinese (o tenerle chiuse dopo le ferie per il capodanno lunare) e a intensificare la produzione negli stabilimenti localizzati altrove. Le conseguenze sul piano economico sono comunque enormi.

 

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