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Feb 09 TOM BRADY SEMPRE PIU’ NELLA LEGGENDA

di Francesco Bonfanti

Come lui nessuno mai. Tom Brady a 43 anni ha trascinato i suoi Tampa Bay Buccaneers alla conquista del Super Bowl, battendo in finale i campioni uscenti di Kansas City, e adesso anche gli ultimi indecisi si sono tolti ogni dubbio: è lui il migliore di sempre. Lui che di Super Bowl ne ha giocati dieci vincendone sette (e per cinque volte ha vinto il premio come Mvp), lui che stagione dopo stagione ha alzato l’asticella un po’ più in alto.

Tampa Bay è diventata la prima squadra nella storia del football americano a conquistare il titolo nello stadio di casa (anche se davanti a soli 25 mila spettatori per le restrizioni dovute alla pandemia), un anello che mancava dal 2003 per una delle squadre più disastrose degli ultimi anni. Poi è arrivato Tom Brady, il cui addio ai New England Patriots dopo 20 anni aveva fatto scalpore, e da qualcuno era stato letto come la voglia di firmare l’ultimo, ricco contratto della carriera. No, niente di tutto questo, lui aveva solo voglia di dimostrare di essere il più grande, e di poter trasformare una squadra mediocre in un gruppo di campioni. Detto, fatto. 

Una carriera tutta in salita quella di Brady, a partire da quando, all’Università del Michigan, si trovò come settimo quarterback della squadra di football. La risalita fu però la prima, grande dimostrazione della sua incredibile forza di volontà, e quando si ritrovò titolare iniziò a sbriciolare record universitari uno dopo l’altro, fino alla conquista del titolo nel 2000. 

Pochi mesi dopo, però, si ritrovò a dover ricominciare dall’inizio, perché nel Draft (l’evento annuale in cui le squadre professionistiche scelgono i migliori talenti che escono dalle università), il suo nome venne chiamato soltanto al sesto giro, risultando la 199esima scelta assoluta, una delle ultime. I New England Patriots scommisero su di lui senza troppa convinzione, con la poco esaltante prospettiva di altri tre quarterback davanti. Alla fine della prima stagione da professionista era già salito di due posizioni, l’anno seguente, complice l’infortunio del titolare, toccò a lui e non uscì più. Il resto è storia.

I suoi tifosi lo chiamano “The Goat”, acronimo di “Greatest Of All Time”, ma tradotto significa “capra”, tanto che sugli spalti spesso lo rappresentano così, con la sua faccia sul corpo dell’animale. 

Tom Brady è l’icona americana di chi ce l’ha fatta, del lavoro messo a servizio del talento, delle sfide accettate e superate una dopo l’altra. Lo impone il suo stesso ruolo, quello del quarterback, il centro di tutto. Lui decide schemi e giocate, lui impartisce gli ordini ai compagni, lui li mette in pratica. La palla nelle sue mani rappresenta il bivio tra la vittoria e la sconfitta. Occhi fissi sui compagni, nervi saldi, il cervello che in una frazione di secondo trova soluzioni impensabili per i comuni mortali, il braccio potente che esegue, disegnando traiettorie perfette. Nel Super Bowl lo ha fatto tre volte, mandando in meta i suoi di fronte all’impotenza della difesa di Kansas City. 

Ma c’è anche l’altro Tom Brady, marito e padre, super testimonial pubblicitario per i brand di lusso. Dal 2006 sta con la bellissima modella brasiliana Gisele Bündchen, con cui si è sposato il 26 febbraio 2009 a Santa Monica e che gli ha dato due figli. Un quadretto familiare perfetto che appare spesso anche sui social (su Instagram ha oltre otto milioni di follower), dove Tom Brady ama farsi vedere nei suoi momenti privati, mentre gioca con i figli o bacia innamoratissimo la bella moglie.

Questo Super Bowl poteva rappresentare il passaggio di consegne nei confronti del venticinquenne Patrick Mahomes, quarterback e leader dei Chiefs, lo sportivo più pagato della storia grazie al contratto decennale da oltre 500 milioni di dollari firmato la scorsa estate. Niente da fare, nemmeno stavolta. 

Il “vecchio” Tom Brady resta lassù, anzi, è già andato oltre. Il più grande di sempre.

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