Auto

Mar 24 UN NUOVO GIORNALE DEL CORRIERE DELLA SERA: PIANETA 2021

di Bianca Carretto

Sopra alle ruote quasi nulla sembra cambiato, le forme di un’automobile, al massimo, si sono rialzate e affinate. Questa è la facciata, al contrario l’industria dell’auto ha subito, negli ultimi dieci anni, una mutazione profonda, quasi un ribaltamento. Il decennio passato ha dato voce alle coscienze, il riscaldamento climatico, la necessità di agire velocemente per salvaguardare il pianeta, il cambiamento delle abitudini, anche alimentari, proiettate su prodotti bio, hanno provocato un’evoluzione nella mentalità dei consumatori tanto da far pensare di poter vivere senza l’automobile. Un decennio che ha segnato la trasformazione delle vetture e la fine di un’epoca.

La svolta solo 5 anni fa, ora la transizione corre veloce con investimenti miliardari. Senza lubrificanti, filtri e olio, e con meno componenti, cambia anche l’assistenza delle officine, che si occuperà di software e gomme. Dagli ingegneri ci si aspetta lo sviluppo di batterie innovative. L’intero settore vive un cambio di Dna. Auto d’epoca comprese

Il reale momento di svolta è avvenuto, nel 2015, quando l’industria tedesca – nessuno escluso – ha dovuto riconoscere che erano stati manipolati i dati legati alle emissioni dei motori diesel. Una crisi profonda in cui fu coinvolto anche il mondo politico, in una Germania che aveva inventato questo carburante in alternativa alla benzina. Iniziarono i confronti negli Stati Uniti e nell’Unione europea: il diesel, in Usa, rappresentava, nel 2009, meno del 5 per cento dei veicoli, al contrario, in Europa sfiorava il 55. Presero il via i test in condizioni reali, in modo da riflettere le diversità ambientali, le caratteristiche topologiche, analizzando i differenti comportamenti di guida. Furono rivelate dal Climate Works Foundation, sovvenzionate dalla Ford Foundation, ricerche che si occupavano di Environmental Protection Agency’s: tutto venne a galla, la giustizia americana si era messa al servizio della sanità. A quel punto doveva essere rivista, in toto, la strategia industriale per rispettare gli obiettivi che riguardavano le emissioni di Co2.

Il conto salato del Dieselgate

Il settore, al completo, ha pagato una fattura molto salata ma, dalla discesa agli inferni del diesel iniziò la nascita della vettura elettrica che uscì dal limbo. Solo all’inizio del 2010 l’auto a zero emissioni pareva ancora un sogno. Qualche illuminato, un certo signor Elon Musk, in California o Carlos Ghosn, il ceo allora di Renault e Nissan, consideravano con prudenza il futuro di questa forma di mobilità. Basti pensare che nel 2019, i veicoli a batteria ricaricabile rappresentavano solo il 2,5 per cento di quota di mercato nell’Unione europea. La Cina detiene lo scettro del più grande mercato al mondo di auto elettriche, con circa 5 milioni di immatricolazioni nel 2020, seguita da Europa e Stati Uniti. Tesla presentò, nel 2005, la Roadster, la sua prima elettrica, sul pianale della Lotus, a cui seguì la Model S e, nel frattempo, è divenuto un vero costruttore di automobili tanto da aver venduto, nel 2020, più di un milione di unità.

GLOSSARIO — EV sta per Electric Vehicle, comprende veicoli a batteria o a energia solare su gomma, rotaia, sottomarini e aerei; POLITICHE per incrementare la diffusione delle auto elettriche alcuni Paesi hanno usato incentivi all’acquisto, altri tasse per i mezzi tradizionali; VELOCITÀ l’auto elettrica da strada più veloce è la Lotus Evija: 320 km orari, con accelerazione 0-330 in soli nove secondi; SERVIZI li forniranno le officine

L’indurimento delle regole, anche in Europa, ha costretto le case ad investire miliardi per elettrificare le loro gamme, per dare inizio concreto alla transizione. Tutto ciò che oggi i meccanici offrono agli automobilisti, non servirà più alle auto azionate da energia elettrica, saranno aboliti il grasso lubrificante, i filtri del motore, la sostituzione delle candele o il semplice cambio dell’olio. Le officine forniranno servizi, si occuperanno della sostituzione degli pneumatici, eseguiranno gli aggiornamenti dei software. Le vetture elettriche possiedono molti meno componenti rispetto a quelle a benzina, richiedono meno lavoro manuale, non rimane altro che il telaio, la batteria e il motore elettrico, molto più semplice di quello a combustione. Una modificazione quasi genetica, tanto che nel Golfo del Persico, qualche stato petrolifero si sta staccando dai combustibili fossili, investendo immense quantità di denaro in impianti a energia solare, diversificando, consapevoli che le riserve si stanno esaurendo.

I pionieri della nuova tecnologia

Gli ingegneri hanno iniziato a sviluppare batterie innovative, utilizzando non solamente litio ma anche sodio e zolfo: quest’ultimo si ricava dal sale alimentare ed è disponibile, al contrario del litio, in quantità illimitata. Le batterie creeranno un nuovo settore industriale, di conseguenza nuovi posti di lavoro, sono richiesti ingegneri elettrici, esperti di elettronica e di software. Nello stesso tempo, Volkswagen era in competizione con Toyota per divenire il primo costruttore mondiale, portando via il trono a General Motors, leader da 70 anni. Tutti i costruttori tradizionali sono stati pionieri della tecnologia elettrica, Nissan con la Leaf lanciata nel 2011, seguita dalla Renault Zoe e dalla Bmw i3 nel 2013. I suv hanno contribuito anche alla svolta, in Europa: oggi rappresentano oltre il 40% delle vendite, hanno messo in soffitta i monovolume e i break, dal momento in cui Nissan presentò il suo primo Qashqai. Ma, i suv, pur non essendo più grandi delle vetture che hanno rimpiazzato, sono più pesanti e meno aerodinamici delle berline equivalenti.

Fusioni: conseguenze ancora imprevedibili

In parallelo, un’ altro avvenimento, ha segnato l’inizio di quel processo di globalizzazione di cui ancora non conosciamo le reali conseguenze: quando Sergio Marchionne, nel 2008, acquistò, senza spendere un euro, Chrysler che era sull’orlo del fallimento. La storia di questa unione è divenuta un modello, è stata sicuramente una punto di riferimento per altri accordi. Anche se non era un matrimonio tra uguali, Chrysler aveva cambiato azionista di riferimento per la terza volta in dieci anni; il presidente degli Stati Uniti, Obama, convinto che la società non era in grado di superare la crisi finanziaria di quel momento, ha incoraggiato l’ingresso di Fiat, che ottenne il controllo pieno. Marchionne, in diretta, prese le redini del nuovo gruppo che venne chiamato Fca. Gli analisti, all’inizio, erano decisamente scettici: se Chrysler era moribonda, anche l’avvenire di Fiat suscitava parecchie interrogazioni, una azienda che non vendeva neppure due milioni di unità. Ma, dopo appena due anni, Chrysler, grazie al marchio Jeep ha iniziato, per la prima volta, dal 2006, a ritornare in utile, passaggio per divenire un vero gruppo integrato che si è aperto a tutti i mercati, una multinazionale basata a Londra con la sede legale ad Amsterdam, quotata a Wall Strett e a Milano. Fca dipendeva dai profitti americani, ormai era evidente che il centro di gravità del gruppo pendeva, inesorabilmente, verso Detroit, la ragione della fusione con Psa.

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